Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Comprate meno, mangiate meglio

- di Eugenio Tassini foto di Massimo Sestini

Antonino Cannavacci­uolo se li ricorda bene i suoi pranzi e le sue cene quando era un ragazzo. «A casa si mangiavano tante verdure, tanta pasta che al Sud finisce sempre sulla tavola, tanti legumi». Poi però recita il menù settimanal­e come fosse una filastrocc­a, senza fermarsi. «Il lunedì pasta e lenticchie, il martedì pasta e broccoli, il mercoledì zuppa di legumi o minestrone, il giovedì era rosso e per noi bambini era festa perché si vedeva la pasta il pomodoro e a volte anche col ragù, il venerdì pasta con le verdure e i legumi, il sabato e la domenica potevamo trovare lo spaghetto col pesce, il ragù la domenica, la lasagna, la pasta farcita. Questa era casa mia». Ed era anche la casa di quasi tutti gli i italiani. Chi aveva meno soldi metteva anche una sera di pausa, pane e latte e poi a dormire. «La nostra era una famiglia di origine contadina. Mio nonno e mia nonna lo erano, perciò si mangiava semplice, molto paesano». Con Antonino Cannavacci­uolo, chef con due stelle a Villa Crespi a Orta San Giulio, imprendito­re della ristorazio­ne a Novara e a Torino e dell’ospitalità a Meta, protagonis­ta in tv con Masterchef, Cucine da incubo e Academy, prof di cucina negli stadi, parliamo di cibo e di cucina, di casa e no, ma soprattutt­o parliamo di noi, di quanto siamo cambiati noi italiani, di come eravamo e di come siamo. Lui ne sa, non c’è dubbio.

«Oggi è cambiato il modo di pensare la cucina. Una volta cucinare era una cosa di casa. C’era la dispensa, quasi tutti avevano un piccolo pezzo di terra da coltivare, si faceva la formica, si faceva il raccolto e si metteva in dispensa che così dava frutti tutto l’anno. Quando si comprava una casa si pensava prima al pezzo di terra, era molto importante. Gli uomini tornavano a casa dopo il lavoro e coltivavan­o insalate e legumi. Le mamme, le zie, le nonne cucinavano e insegnavan­o a farlo alle giovani donne. Le cene o i pranzi erano una festa. Chi portava una melanzana, chi le zucchine. Poi c’erano le sfide a chi faceva la pietanza migliore. Era proprio un altro mondo. Oggi la donna lavora come l’uomo,e la cena è diventata come il premio. Lavoriamo tutti, e la sera andiamo in trattoria o al ristorante. Una frattura che è iniziata con la divisione delle famiglie. Prima si continuava a vivere insieme, al massimo nello stesso paese. Poi i figli hanno iniziato ad andarsene, magari al Nord come ho fatto io. Ora quando chiamo la sera mia mamma e le chiedo cosa ha preparato mi dice che no, non ha fatto nulla di particolar­e, qualcosa così. di veloce, tanto siamo solo io e papà».

Cannavacci­uolo è un uomo del Sud, generoso, anche con le parole. Non si risparmia. E anche con le parole, le storie, gli aneddoti, i ricordi non è avaro. Ma la parola che ripete più spesso, e la pronuncia con severità, quasi scandendo le sillabe, è rispetto. Rispetto per il cibo, rispetto per i contadini, rispetto per polli e conigli da cucinare, rispetto per chi hai a tavola. Ecco, quello che manca oggi è proprio il rispetto. «Io non mi stanco di dire che dobbiamo dedicare due ore del nostro tempo per andare a comprare fuoriporta dai contadini. E dobbiamo andarci con i bambini.Quando trovi il contadino, o il pescatore, e vedi quelle mani, che poi la mano del contadino o del pescatore l’Unesco, allora capisci la fatica,il rispetto, l’amore. Oggi è facile prendere una mela e buttarla. Ma se tu vedi quello che si è piegato per mettere il seme, e poi ha fatto venire su la pianta, e l’ha annaffiata tutti i giorni, e quanto ha faticato, poi non la butti. E quando la mangi è più saporita. Sai una cosa? Quando compri un vino o lo bevi in un ristorante o lo leggi su un libro poi non ti ricordi neanche il nome. Quando vai in una cantina ti ricordi tutto, il procedimen­to, le uve, quando viene macerato, tutto».

Antonino ha qualcosa da dire anche ai ragazzi, anche a molti i quelli che si presentano alle sue trasmissio­ni «Il rispetto è quello che fa andare il mondo. E anche la cucina. Serve rispetto nell’allevare e nel coltivare, nel comprare, nel cucinare, nel mangiare. Ma nei ragazzi c’è poco rispetto per quello che mangiano. Non va bene. C’è

” È facile prendere una mela e buttarla. Ma se vedi quello che si è piegato per mettere il seme e la fatica che ha fatto non la butti Ed è anche più buona

” La cucina è memoria, dalla memoria vengono le grandi emozioni

E io ora torno a Vico Equense, a casa mia Con un progetto che vi emozionerà

tanta attenzione quando devono scegliere una maglietta da cento euro, ma non danno importanza a quello che mangiano. Noi in Italia abbiamo il meglio, che tutto il mondo ci invidia. Perché dobbiamo comprare dall’estero la frutta, l’aglio, il prezzemolo? Perché prendiamo le arance dalla Spagna o dal Portogallo e quelle siciliane le buttiamo?». Si arrabbia, e va avanti nell’invettiva: «Comunque se ci sono qualcuno queste cose le compra. Basta, non li compriamo più. Se tutti smettiamo di comprarli scomparira­nno. Siamo bravi a parlare, ma poi i fatti non li facciamo. Ci sono dei prodotti che mia figlia non mangia. Perché da piccola ha sentito parlare me e sua madre di loro, e sa che fanno male alla salute. Ha avuto una cultura dalla famiglia, e ora che ha dodici anni quando va fuori con gli amici lei non li mangia. I figli parlano la lingua che si parla in casa. La lingua di qualsiasi cosa, anche del cibo».

Dunque scuola, famiglia, insegnamen­ti, trasmissio­ne di sapere. E si finisce a parlare di tradizione. Di quei sapori di una volta che inseguiamo. « Ma tradizione è tutta nel pesce, la carne o l’ortaggio che usi. Una volta nel paese c’era una rete: chi allevava le galline, chi il maiale, chi coltivava ortaggi o legumi. Oggi dobbiamo comprare tutto, anche l’aglio. Invece vogliamo la tradizione, ma la vogliamo pagare poco. E non è così. Un pollo paesano, un coniglio paesano, un formaggio fatto bene costano. Ma non è solo il cibo. Ogni tanto ci dobbiamo fermare. Io è da tempo che dico: compriamo di meno, e buttiamo di meno. Alla fine tutti noi a fine settimana apriamo il frigorifer­o e buttiamo: quello è scaduto, quello è ammaccato, quello è marcito. Ma il cibo non va buttato. Che poi la parte che le persone pensano sia uno scarto è la nostra palestra di allenament­o per creare. Dalla cotica del prosciutto che noi mettiamo nei fondi alla buccia di pomodoro che è la parte più saporita, quella che ha preso più sole e basta essiccarla, farci una polvere per condire un piatto. Io quando penso a una nuova ricetta penso prima con lo scarto cosa ci posso fare, poi il piatto».

Cannavacci­uolo sta tornando, dopo tanti anni, a casa, al suo paese, 500 abitanti a pochi chilometri da Vico Equense. «Torno. Sto facendo una cosa bella, e se nasce come ce l’abbiamo in testa è un posto magico. È un palazzo dell’Ottocento, e dentro ci saranno ristorante, Spa, cantina e camere. La chiamavano la casa padronale, dove tutti andavano per fare il vino o l’olio perché c’era la macina,le botti. Mio nonno era il custode».

La memoria dà sempre buoni frutti.

«È così, la cucina è memoria e dalla memoria passano le emozioni grandi. Io oggi penso a quello che mangiavo e il mio lavoro è portare nella bocca di chi viene da me il sapore della tradizione, usando l’innovazion­e».

Torniamo a Vico Equense «In questa palazzo sono passati preti, signori, varie famiglie. Nel ‘94 l’hanno messo in vendita, mio padre ha fatto un grandissim­o sforzo e con tutti i suoi risparmi l’ha comprato pensando a me, “ora Tonino sta facendo il giro ma quando torna apriamo qua”. Io non sono tornato più ed è stato un po’ abbandonat­o. Mio padre andava la e si divertiva a coltivare il terreno. Io adesso ho fatto uno studio su tutti quelli che hanno abitato il palazzo, e io viglio fare la stanza del contadino, la stanza del prete, la stanza dello zio pazzo. Quando l’ospite verrà dovrà mangiare 150 anni di storia. Un giardino di aromi, verdure, frutteti. Deve vedere il cuoco che raccoglie quello che serve, lo cucina e lo mangi. Tradizioni, emozioni, storia»

Ci sarà anche la stanza del custode?

«La faccio, sopra la camera degli attrezzi, dove verrà il ristorante».

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