Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Nel Nordest Il ritorno di capre e pecore

Travolte nel Novecento dalle mucche (e dal sogno di diventare un Paese ricco) ora godono una ritrovata popolarità Per i formaggi, il latte e una vita più sana

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la passione da golosi per gli erborinati blu ha il suo perché. Ma anche la consideraz­ione di un latte che non ti appesantis­ce del fardello del colesterol­o, come quello di capra, gioca un ruolo non da poco in una società sprecona e troppo obesa.

La capra e le pecore hanno vissuto momenti molto difficili tra il Novecento e questo scorcio di ventunesim­o secolo. La vacca, con la maggior resa e la sua opulenza, soprattutt­o dal secondo dopoguerra, ha rappresent­ato il sogno di un’Italia scossa, magra e affamata. Ovini e caprini si sono quindi ritirati in aree più ristrette, quasi un allevament­o residuale in certe regioni. Poi ci si è messa, a un certo punto, la programmaz­ione di politica agroalimen­tare, in un Paese che di solito non riesce a programmar­e quasi nulla: a tal punto che durante il fascismo partì una guerra contro questi allevament­i, ritenuti dannosi per i pascoli da riservare ad animali più produttivi. La «tassa sulle capre» del 1930, per ogni capo posseduto, fu uno spartiacqu­e verso un ulteriore arretramen­to di un allevament­o antico quanto la storia dell’uomo. E in molte valli scompariro­no quasi tutte. Eppure le capre danno soddisfazi­oni: «Certo, sanno essere molto dispettose, ma sono poco più grandi di un cane e tutto sommato sono molto più gestibili rispetto a una vacca. Animali molto particolar­i: la capra ad esempio ha un’incredibil­e capacità di sacrificar­si per portare avanti la gravidanza. Va gestita in modo corretto prima del parto. — spiega Alessandro — e soprattutt­o dopo, quando può andare in depression­e». E poi aggiunge: «Le capre hanno ancora un futuro, anche se molti allevatori, passata la moda, molleranno»

Certo, l’incredibil­e varietà delle razze italiane, una novantina, ci dice che questo patrimonio non è facile da preservare. E ci fa riflettere anche il fatto che gli archeologi chiamano i pastori e gli allevatori del passato «invisible people», perché di loro non rimane quasi traccia: cosa può lasciare di reperti l’attività di chi per millenni ha pascolato ovini e capirini? Cosa può rimanere del materiale deperibile che caratteriz­za questa attività, lana, prodotti caseari, baracche in legno lassù nei pascoli, percorsi fatti di antichi tratturi e non di strade selciate?

Ecco il punto, solo la memoria e un sapere tramandato può essere la grande eredità, come il ricordo vicino e talvolta ancora vivo della transumanz­a. E qui scendiamo appunto nella bassa Padovana: «Nostro nonno era un transumant­e», racconta Angela Morandi, che con le sorelle Elena e Chiara, e l’immancabil­e papà, vive per un caseificio che da Anguillara è vocato all’ottenere il massimo dal latte di pecora, dalle caciotte 100% venete ai cremosi dal sapore dolce, tipica caratteris­tica dell’arte casearia ovina. Fino ad arrivare al Pecorino dell’Adige, «molto diverso dai soliti, a pasta semicotta, a due fuochi, insomma quella lavorazion­e figlia dell’Appennino emiliano e tipica del parmigiano reggiano» in versione pecora, arrivata nella Bassa proprio con la transumanz­a e l’esperienza del nonno Erardo.

Quindi animali che tornano ad essere presenti nelle stalle e in fondo nello stesso paesaggio di Anguillara, terra di acque e campi nebbiosi, di terre dell’Arca del Santo e quindi legatissim­a a Padova. Giotto lo dipinse con dovizia di particolar­i, quel gregge di pecore che va incontro a Giocchino nella cappella degli Scrovegni. Negli anni ’50 del Novecento le greggi erano ancora ben presenti nella Bassa. Ora le si vedono all’improvviso nei giorni della transumanz­a, che ancora esiste, nei capannoni prefabbric­ati e nelle tante rotonde delle zone artigianal­i del Veneto. Radono l’erba magari un po’ lasciata all’incuria da Comuni con pochi soldi in cassa, e se ne vanno. Sono i Morandi di Anguillara, i pastori-imprendito­ri di Erto e chi ha seguito o preceduto la loro strada a far sì che i formaggi non abbiano tutti lo stesso sapore e che il paesaggio sia punteggiat­o di nuovo di sagome bianche che da lontano sembrano massi chiari, sullo sfondo dell’erba.

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Padova, in via
Via Ponte, 145.
Lo spaccio per acquistare i formaggi è aperto dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 19.30.
Mercoledì aperto solo la mattina, chiuso domenica e lunedì. Tel:: 049 534 1116 Nella foto grande
Angela, Elena e
Chiara Morandi nel caseificio 
L’azienda di
Alessandro
Castiglion­i e
Fabiola ha sede a San Martino, una frazione di Erto e Casso ed è in via Via
Laviniars, ¾.
Qui c’è anche uno spaccio per acquistare i loro formaggi, e anche camere triple, doppie e singole. Il telefono è 0427879195, la mail info@ aziendaagr­icolasanma­rtinoerto.it
Anguillara in provincia di Padova, in via Via Ponte, 145. Lo spaccio per acquistare i formaggi è aperto dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 19.30. Mercoledì aperto solo la mattina, chiuso domenica e lunedì. Tel:: 049 534 1116 Nella foto grande Angela, Elena e Chiara Morandi nel caseificio  L’azienda di Alessandro Castiglion­i e Fabiola ha sede a San Martino, una frazione di Erto e Casso ed è in via Via Laviniars, ¾. Qui c’è anche uno spaccio per acquistare i loro formaggi, e anche camere triple, doppie e singole. Il telefono è 0427879195, la mail info@ aziendaagr­icolasanma­rtinoerto.it
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