Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Salva-natura
Nei laboratori di Genetica Agraria a Verona si sperimenta una tecnica rivoluzionaria Che può salvare i nostri tesori, l’agricoltura e la viticoltura, da nuovo clima e malattie
Tutta la frutta e la verdura di cui ci cibiamo, in natura non esiste. O meglio, non esisterebbe, se l’uomo non avesse iniziato a sfruttare a suo vantaggio, già diecimila anni fa, le mutazioni genetiche nelle piante. Le carote erano all’apparenza rami legnosi viola, il baccello dei fagioli disperdeva i legumi, la banana corta e piena di semi, la melanzana minuscola e dotata di aculei, per non parlare del mais che invece di presentarsi in pannocchie, come lo conosciamo noi, aveva sparuti chicchi sulla rachide. «Ogni vegetale ha come unico scopo quello di perpetrare la specie e non di farsi mangiare — le parole di Mario Pezzotti, ex presidente della Siga (Società Italiana di Genetica Agraria) e professore di genetica agraria all’Università degli Studi di Verona, dove 25 anni fa è stato istituito il primo corso di laurea in Biotecnologie —. Ecco perché già i primi agricoltori dirigevano l’evoluzione delle specie sia vegetali che animali, individuando e selezionando delle mutazioni che non si sarebbero mai affermate in natura e sarebbero state perse per sempre. Una cosa dev’essere chiara: le mutazioni esistono, sono inesorabili e casuali».
Tutto quello che è stato studiato e osservato in secoli di piroette di Dna, oggi avviene in pochi secondi, con una tecnica tanto rivoluzionaria quanto discreta: «decifrare il genoma vuol dire conoscere il libretto delle istruzioni. Non sappiamo ancora le funzioni di tutti i geni, ma di molti sì e per ognuno di questi possiamo effettuare la mutagenesi mirata, spegnendo o potenziando il singolo gene in esame. Questa è la tecnologia Crispr/Cas9 conosciuta come «genome editing»».
Cas9 è il nome dell’enzima in grado di srotolare la doppia elica del Dna per tagliarne un lembo nel punto esatto indicato dai ricercatori: la modifica del gene avviene così, perché da quel momento il gene non sarà mai più lo stesso. «Prima dell’avvento del Crispr, la mutagenesi non era guidata e non si poteva predire quali e quanti geni sarebbero stati modificati — precisa Sara Zenoni, professoressa di metodologie genetiche all’Università di Verona e membro del consiglio direttivo della Siga –. Si sarebbe capito dopo, analizzandone l’effetto. Con la scoperta di Crispr oggi operiamo in modo mirato sul genoma all’interno della cellula. E non può esser definito Ogm, perché non c’è trasferimento di Dna». Un’innovazione grandiosa per il miglioramento genetico delle piante agrarie, perché è in grado di conferire alla varietà attualmente in coltivazione le caratteristiche di resilienza necessarie per rispondere al cambiamento climatico in atto e di resistenza all’attacco dei patogeni, senza alterare le sue caratteristiche di pregio. Se tutto questo trovasse applicazione anche fuori dai laboratori, sarebbe un bel salto avanti rispetto all’agricoltura contemporanea. Basti pensare alle vigne: attualmente ricevono 15-20 trattamenti l’anno, per combattere funghi, virus, batteri e insetti, ovvero il 65% di tutti i pesticidi utilizzati in Europa nonostante la vite occupi solo il 3% delle terre coltivate. Numeri che, in futuro, potrebbero azzerarsi. «Presso il dipartimento di Biotecnologie di Verona sono state sviluppate competenze che permettono di studiare simultaneamente i 30mila geni presenti nel genoma di vite — illustra Zenoni —. Attraverso l’analisi globale dell’Rna (la molecola che esplica l’informazione genetica) si riesce a studiare l’“espressione genica” e a individuare i geni responsabili dello sviluppo della pianta, della risposta all’ambiente o all’attacco dei patogeni. La ricerca genetica in viticoltura è a uno stato avanzato di conoscenza e sarebbe in grado, nell’arco di 5/10 anni, se opportunamente finanziata, di rinnovare il sistema agrario. La ricerca genetica non è antagonista ma è il fulcro innovativo che potrà