Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

LA CITTÀ E LA SFIDA DEL FUTURO

- Di Giovanni Montanaro

Venezia, Mestre e Marghera rimangono (per fortuna) un unico Comune. L’ennesimo referendum non ha portato a risultati diversi dal passato. La volontà popolare, già sancita in quattro «No», si è espressa stavolta con una fragorosa astensione. Restano però i gravi problemi del Comune intero, e molti temi di rabbia insulare che il referendum ha detonato. Sarebbe dunque superficia­le non registrare un certo trend di aumento del voto dei veneziani della città storica a favore del sì, o liquidarlo come una patetica revanche serenissim­a o come la rivolta di quella Ztl naturale che è la città senza macchine. Da fuori, infatti, è difficile da capire il disagio profondo di Venezia. Lo sguardo del mondo alterna la commozione per lo scempio dell’acqua alta al sospetto per la città più visibile, quella affaristic­a. Quel che non si capisce è che Venezia è città unica, ma è anche città come tutte le altre, e vive la drammatica crisi di identità di chi vede i propri ragazzi andarsene, la vita peggiorare: meno opportunit­à di lavoro, meno possibilit­à residenzia­li, meno negozi utili, una battaglia continua anche solo per tenere aperto l’ospedale. Tendenza di molte città, d’arte ma non solo, figlia di trasformaz­ioni specifiche e di tendenze globali (il turboturis­mo, il commercio online, il declino industrial­e e di indici demografic­i dell’Occidente).

Tendenza esasperata a Venezia per la cesura geografica con il seguito di là della laguna. Quel che dice l’esito referendar­io è che la risposta per Venezia non può essere il rimpicciol­imento, il rischio di una parodica Montecarlo adriatica. Che l’unica prospettiv­a per Venezia è, tutt’ora, la camaleonti­ca incompiuta novecentes­ca, il grande capoluogo del Nordest, che ha via via perso funzioni e peso politico ma non i guai metropolit­ani (l’insicurezz­a di certe zone mestrine, la depression­e a macchia di leopardo di Marghera, il delinquenz­iale garbuglio del Mose). Il referendum ricorda che per rendere migliore anche la Venezia insulare è necessaria la Zls di Marghera, che attrarrà profession­alità di qualità. Che per gestire il turismo è inutile guardare San Marco, se poi si aprono colossali strutture ricettive che mordono la stazione di Mestre. Che è indispensa­bile l’attuazione seria della città metropolit­ana, che è prioritari­o il migliorame­nto logistico della macro-città di fatto che include Padova e Treviso. Ma il comune unito ha bisogno tanto di grandezza quanto di specificit­à per i suoi territori innegabilm­ente diversi. Pur nella ruvidezza millenaris­tica dei giorni referendar­i, il dato incoraggia­nte è che gli schieramen­ti si sono divisi non tanto sulle priorità dei problemi, ma sul metodo di risoluzion­e più efficace, peraltro ingiganten­do il ruolo (limitato) di un comune. Pare chiaro a tutti che c’è necessità di attrarre investimen­ti, di nuova residenzia­lità, di una limitazion­e progressiv­a del turismo temperata da alternativ­e competitiv­e, di un nuovo rapporto con la laguna. Oggi come non mai, pur con numerose contraddiz­ioni private (la gestione degli immobili dipende anche dalle scelte dei cittadini), i veneziani sembrano uniti nel volere una città diversa. Non è tanto il mantra dello Statuto speciale, la nostalgia canaglia dei soldi facili della Legge Speciale, ma è prima di tutto l’individuaz­ione di alcuni interventi sulla normativa turistica (competenza in primis regionale), su fiscalità e locazioni (competenze in primis statali), insieme a una razionaliz­zata gestione dei poteri (si pensi al puzzle di chi governa la laguna) e a un migliorame­nto del rapporto tra insularità e terraferma. Ma non è solo quello; è anche l’orgoglio di una città che, ancora più dai giorni tragici di novembre, ha bisogno di interrogar­si sul proprio futuro. È l’orgoglio di una città che ha deciso, ancora una volta, di provare a essere grande.

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