Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
LA CITTÀ E LA SFIDA DEL FUTURO
Venezia, Mestre e Marghera rimangono (per fortuna) un unico Comune. L’ennesimo referendum non ha portato a risultati diversi dal passato. La volontà popolare, già sancita in quattro «No», si è espressa stavolta con una fragorosa astensione. Restano però i gravi problemi del Comune intero, e molti temi di rabbia insulare che il referendum ha detonato. Sarebbe dunque superficiale non registrare un certo trend di aumento del voto dei veneziani della città storica a favore del sì, o liquidarlo come una patetica revanche serenissima o come la rivolta di quella Ztl naturale che è la città senza macchine. Da fuori, infatti, è difficile da capire il disagio profondo di Venezia. Lo sguardo del mondo alterna la commozione per lo scempio dell’acqua alta al sospetto per la città più visibile, quella affaristica. Quel che non si capisce è che Venezia è città unica, ma è anche città come tutte le altre, e vive la drammatica crisi di identità di chi vede i propri ragazzi andarsene, la vita peggiorare: meno opportunità di lavoro, meno possibilità residenziali, meno negozi utili, una battaglia continua anche solo per tenere aperto l’ospedale. Tendenza di molte città, d’arte ma non solo, figlia di trasformazioni specifiche e di tendenze globali (il turboturismo, il commercio online, il declino industriale e di indici demografici dell’Occidente).
Tendenza esasperata a Venezia per la cesura geografica con il seguito di là della laguna. Quel che dice l’esito referendario è che la risposta per Venezia non può essere il rimpicciolimento, il rischio di una parodica Montecarlo adriatica. Che l’unica prospettiva per Venezia è, tutt’ora, la camaleontica incompiuta novecentesca, il grande capoluogo del Nordest, che ha via via perso funzioni e peso politico ma non i guai metropolitani (l’insicurezza di certe zone mestrine, la depressione a macchia di leopardo di Marghera, il delinquenziale garbuglio del Mose). Il referendum ricorda che per rendere migliore anche la Venezia insulare è necessaria la Zls di Marghera, che attrarrà professionalità di qualità. Che per gestire il turismo è inutile guardare San Marco, se poi si aprono colossali strutture ricettive che mordono la stazione di Mestre. Che è indispensabile l’attuazione seria della città metropolitana, che è prioritario il miglioramento logistico della macro-città di fatto che include Padova e Treviso. Ma il comune unito ha bisogno tanto di grandezza quanto di specificità per i suoi territori innegabilmente diversi. Pur nella ruvidezza millenaristica dei giorni referendari, il dato incoraggiante è che gli schieramenti si sono divisi non tanto sulle priorità dei problemi, ma sul metodo di risoluzione più efficace, peraltro ingigantendo il ruolo (limitato) di un comune. Pare chiaro a tutti che c’è necessità di attrarre investimenti, di nuova residenzialità, di una limitazione progressiva del turismo temperata da alternative competitive, di un nuovo rapporto con la laguna. Oggi come non mai, pur con numerose contraddizioni private (la gestione degli immobili dipende anche dalle scelte dei cittadini), i veneziani sembrano uniti nel volere una città diversa. Non è tanto il mantra dello Statuto speciale, la nostalgia canaglia dei soldi facili della Legge Speciale, ma è prima di tutto l’individuazione di alcuni interventi sulla normativa turistica (competenza in primis regionale), su fiscalità e locazioni (competenze in primis statali), insieme a una razionalizzata gestione dei poteri (si pensi al puzzle di chi governa la laguna) e a un miglioramento del rapporto tra insularità e terraferma. Ma non è solo quello; è anche l’orgoglio di una città che, ancora più dai giorni tragici di novembre, ha bisogno di interrogarsi sul proprio futuro. È l’orgoglio di una città che ha deciso, ancora una volta, di provare a essere grande.