Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Inquinamento sospetto all’oasi di Casale la procura chiede altri sei mesi d’indagine
È necessario procedere con gli scavi. Ora si attende la decisione del gip
VICENZA Troppi pochi sei mesi per riuscire a completare gli scavi all’Oasi di Casale fino alla profondità di sette metri e in aree non ancora sondate, per chiudere gli ulteriori accertamenti imposti.
Il pubblico ministero Barbara De Munari nei giorni scorsi ha presentato la richiesta di proroga indagini al giudice Barbara Maria Trenti che probabilmente le concederà appunto più tempo. A metà mese scadono infatti i sei mesi che il giudice aveva disposto e ora si potrebbe slittare di ulteriori sei.
L’inchiesta è quella che riguarda la presunta discarica abusiva non autorizzata all’Oasi di Casale, con materiale inquinante e tossico interrato negli anni Settanta e Ottanta. Un fascicolo per il reato di deposito incontrollato di rifiuti rimasto ad oggi senza indagati. Il pm voleva mandarlo archiviato in quanto sullo sversamento di rifiuti nell’area naturalistica sarebbe maturata la prescrizione, quindi sarebbe passato troppo tempo. Ma non è stato dello stesso avviso il gip che a giugno ha ordinato nuove indagini, più in profondità e in tutte le aree, compresa l’area C rimasta inviolata, a ridosso di via Zamenhof: «Devono essere accertati sia l’esatta situazione di contaminazione del sito e i conseguenti rischi per la falda sottostante e la salute pubblica» ha scritto il giudice, considerando anche che gli scavi eseguiti a ottobre 2018 sono stati svolti «solo a margine della zona oggetto di indagine» e comunque hanno «già di per sé evidenziato la presenza di sostanze contaminanti». Come la «presenza di cromo e cromo esavalente» riferita da Arpav, che ha lavorato nell’area naturalistica con i carabinieri del Noe. Da qui la richiesta del gip di «procedere entro sei mesi a un approfondimento della reale pericolosità del materiale presente sul sito nella sua completezza, comprensiva dell’area C». Necessario poi, secondo il giudice, procedere «a un’analisi del materiale, solido e non, prelevato a una maggiore profondità, almeno 6/7 metri», e ancora effettuare «un’analisi chimica della falda a monte e a valle, come non sembra essere stato fatto limitandosi l’analisi alle acque in entrata».
Accertamenti, questi, di cui non si conoscerà l’esito a breve. Bisognerà probabilmente attendere ancora qualche mese, ma del resto sono circa trent’anni che il comitato cittadino presieduto da Giuseppe Romio e assistito dall’avvocato Massimo Pecori aspetta di avere risposte. Complete ed esaustive.