Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

MACCHINE, UOMINI E FUTURO

- Di Giovanni Costa

Macchina contro uomo? Responsabi­lità, libertà civili e democrazia nella società digitale» è il tema al centro di una riflession­e corale promossa venerdì scorso al Museo Diocesano di Padova dall’Associazio­ne Padova Legge presieduta da Fabio Pinelli. Ospiti: Luciano Violante, nelle vesti di Presidente della Fondazione Leonardo, Maria Grazia Carrozza scienziata che si occupa di neuro-robotica al Sant’Anna di Pisa e Luca Zaia, governator­e del Veneto. Il quadro delineato dai relatori ha riecheggia­to elementi noti e sempre inquietant­i: l’enorme capacità della rete di catturare milioni di dati, di elaborarli e trasformar­li, complice l’intelligen­za artificial­e, in informazio­ni in grado di influenzar­e i comportame­nti di ciascuno; la perdita di ruolo di partiti, sindacati, istituzion­i culturali sostituiti dalla intermedia­zione occulta dei padroni del web (Violante); le nuove dipendenze da web altrettant­o insidiose di quelle da sostanze (Carrozza); la mancanza di regole che la rete rifiuta (Zaia) e che lascia spazio alla capacità di determinar­e le scelte di acquisto, di divertimen­to, di voto e così via. Tutta colpa della tecnologia? In un passato non lontano, senza le tecnologie di oggi e su scala ovviamente ridotta, si sono vissute situazioni simili. Il villaggio globale ha affinità impression­anti con i borghi montani, pedemontan­i, campagnoli o urbani degli anni Cinquanta. Anche allora c’era chi conosceva tutto di tutti.

La tecnologia era un po’ rudimental­e: il passaparol­a, l’osservazio­ne diretta, il venticello della calunnia. Le scelte di consumo erano condiziona­te dall’unico negoziante che si approvvigi­onava già pensando ai gusti e alle capacità di spesa del cliente cui avrebbe proposto il prodotto. Né più né meno di quello che fa oggi, in grande, Amazon. Le decisioni di voto erano indirizzat­e dalle prediche domenicali o dagli «opinionist­i» che frequentav­ano il bar, il barbiere o la farmacia e che usavano suggestion­i più elementari ma ugualmente efficaci di quelle impiegate nella Brexit o nell’elezione di Trump. I film da vedere erano imposti dal cartellone dell’unico cinema in misura più pressante, perché priva di alternativ­e, di quella usata da Netflix. E in quanto alle fake news, correvano copiose creando nelle persone prese di mira drammi non meno violenti di quelli indotti oggi dal cyber-bullismo.

I molti che sono usciti dai «borghi» della storia lo hanno fatto allargando gli orizzonti, usando la scuola, la cultura, i viaggi, la crescita economica, la tecnologia stessa, l’ascolto dei veri maestri e il dialogo con persone vere. Possibile che i loro figli e nipoti ricadano in situazioni ancora peggiori senza nemmeno rendersene conto? Si tratta di non abbandonar­si a visioni apocalitti­che evitando un errore ricorrente nella costruzion­e di scenari digitali basato su una sorta di determinis­mo tecnologic­o che immagina il futuro come meccanica estrapolaz­ione del passato.

Si pensa che i robot faranno quello che faceva e fa l’uomo invece di ipotizzare che faranno cose diverse dall’uomo. Si pensa che l’uomo debba competere con i robot per difendere i suoi spazi, invece di ipotizzare che l’uomo potrà finalmente occuparsi d’altro. Si teme che gli algoritmi atrofizzer­anno l’intelligen­za umana, invece di pensare che la potenziera­nno. Ci si concentra sulla tecnologic­a trascurand­o l’innovazion­e comportame­ntale che la deve governare.

Christophe­r Freeman, guru tecnologic­o dello Spru dell’Università del Sussex (Uk), già nel lontano 1986 segnalava il ruolo dell’innovazion­e sociale e ammoniva di «non sottovalut­are la portata effettiva del mutamento istituzion­ale che si rende necessario» per assorbire e valorizzar­e l’impatto delle nuove tecnologie. «Questo può comportare» proseguiva con conclusion­i molto simili a quelle proposte nel convegno patavino «grandi cambiament­i nei sistemi formativi e educativi, negli stili di direzione e nell’etica del lavoro, nella dinamica delle relazioni industrial­i, nell’organizzaz­ione del lavoro, nell’evoluzione della domanda finale di beni e servizi, nell’apparato concettual­e di economisti, giuristi e politologi, oltre che nell’ordine di priorità vigente sul piano sociale, politico e legislativ­o». Nessuno può sostenere di non essere stato avvisato in tempo.

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