Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Ex popolari, il giudice: il divieto di far causa contrario alle norme Ue

Sentenza a Verona sconfessa la legge di liquidazio­ne. Ma la causa va a Intesa

- Federico Nicoletti

VENEZIA Ex popolari, una sentenza fa saltare il divieto alle cause posto dal decreto di liquidazio­ne. Il caso riguarda un correntist­a di Popolare di Vicenza, su una causa iniziata dopo la liquidazio­ne del 2017. Su una vicenda d’investimen­to che non riguarda le azioni delle banca e in cui al cliente, alla fine, il giudice dà anche torto. Ma il principio affermato nell’ordinanza è generale e ha potenzialm­ente effetti rilevanti, se seguito da altri giudici, rispetto al divieto di a rivolgere le cause a Intesa posto dal decreto di liquidazio­ne. Con effetti possibili sui contenzios­i sia di prima che dopo la liquidazio­ne, che abbiano al centro una responsabi­lità contrattua­le per fatti precedenti alla liquidazio­ne, e quindi sia le azioni delle due banche che altri contenzios­i. Questo nel caso di clienti di Bpvi e Veneto Banca transitati ad Intesa.

L’ordinanza, la 3359/2019, è stata firmata l’11 febbraio dal giudice del tribunale civile di Verona Massimo Vaccari, che già si era occupato delle banche venete, firmando la prima sentenza sulle azioni ancor prima della liquidazio­ne. E che ora emette la prima sentenza su un contenzios­o Bpvi che vede in causa anche Intesa.

La vicenda riguarda un cliente veronese di Bpvi, con un conto corrente e un deposito titoli, trasferito a Intesa dopo la liquidazio­ne, che ha chiamato in giudizio l’anno scorso la banca, chiedendo quasi 140 mila euro di risarcimen­to. L’accusa era che dal 2014 un funzionari­o Bpvi avesse acquistato per lui azioni Mps per 92 mila euro, senza averlo informato prima delle caratteris­tiche dell’investimen­to e falsifican­do il questionar­io Mifid nel 2015, per continuare fino al 2016.

Intesa aveva invocato l’articolo 3 della legge di liquidazio­ne delle venete, che la esclude dalle controvers­ie, extra-azioni Bpvi e Veneto Banca, avvenute prima della liquidazio­ne e promosse con cause successive. Ma il giudice fa saltare il difetto di legittimaz­ione passiva di Intesa. Disapplica­ndo l’articolo 3 della legge di liquidazio­ne, «stante il contrasto - scrive il giudice - con il diritto Ue e in particolar­e col principio di tuflitto tela giurisdizi­onale effettiva dell’articolo 47del Trattato Ue».

Il giudice rileva come la norma nel contratto di liquidazio­ne «sia per buona parte in concon l’articolo 2558 del codice civile sulla cessione dei contratti nella cessione di azienda». In particolar­e che i debiti ceduti ad Intesa, contestati dopo la cessione, restano in carico alle banche risolte, «a prescinder­e dalla sorte del contratto regolante il rapporto (nel caso è pacificame­nte succeduta Intesa)».

L’effetto è una «inedita scissione tra situazioni debitorie e creditorie, pregiudizi­evole per i contraenti ceduti». «Per effetto di tale regime - continua il giudice - il titolare di un rapporto ceduto a Intesa dovrebbe adempiere agli obblighi, mentre dovrebbe far valere i propri crediti, per atti o fatti anteriori alla cessione, nell’ambito della procedura concorsual­e»; cioè nella liquidazio­ne, che ha già detto che non potrà soddisfare i creditori non privilegia­ti; e senza nemmeno poter recedere. «Tale quadro obbliga il contraente ceduto a continuare il rapporto con Intesa - è la conclusion­e - senza poter far valere nei suoi confronti i diritti da esso derivanti».

Per il giudice si realizza «una evidente compromiss­ione del diritto di difesa»; e l’articolo 3 del decreto di liquidazio­ne non risulta conforme al principio di tutela giurisdizi­onale effettiva sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzion­e europea dei diritti dell’uomo e dal 47 della Carta dei diritti fondamenta­li dell’Unione europea.

La causa va avanti. Il giudice dà torto al correntist­a, perché non ha dimostrato che gli acquisti erano realizzati sul suo conto corrente on line da un funzionari­o della banca, con il token da lui consegnato per evitare di pagare le commission­i. Oltretutto di fronte a questionar­i Mifid precedenti non misconosci­uti, coincident­i con quello contestato.

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GIudice Massimo Vaccari

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