Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Pinarello, la storia su due ruote «Il Giro? È dura ma io ci spero E poi c’è la crono del Prosecco...»

Fausto guida l’azienda trevigiana: «Ipotesi: correre dopo Tour e Vuelta»

- di Lorenzo Fabiano

«Si deve stare a casa, tanto basta. Vi annoiate? Pazienza, fate i rulli: quando sarà finita vi ritroveret­e con gli amici e sarà tutto più bello»

Di padre in figlio. Una storia italiana, matrice veneta, quella dei Pinarello; da un piccolo negozio nel centro di Treviso nato nel 1953, fino a 15 trionfi al Tour de France e all’affermazio­ne di un marchio leader nel mondo. «La passione di mio padre mi accompagna ogni giorno. Sono stato fortunato, senza una squadra vincente a fianco non ce l’avrei fatta» spiega Fausto, 56 anni, che oggi guida l’azienda.

Fausto, un nome che ne ciclismo significa qualcosa. Ma oltre al Campioniss­imo, c’è anche Bertoglio: la sua vittoria al Giro del 1975, fu il primo grande successo di una bici Pinarello…

«Avevo 12 anni; il Giro arrivava allo Stelvio. Io, mio papà e mia mamma lo ascoltavam­o alla radio. Lo spagnolo Galdos vinse la tappa, Bertoglio il Giro. Mio papà uscì a mettere un cero in chiesa. «Maglia nera nel ciclismo, rosa nella vita» disse Adriano De Zan»

Un Giro avvolto quest’anno nell’incertezza. Si riuscirà a fare secondo lei?

«Lo spero ma è molto difficile dirlo or. Peccato per la cronometro del Prosecco, in quella che è la zona di riferiment­o della nostra Gran Fondo. Forse riuscirann­o a far correre solo i tre grandi giri, cancelland­o tutto il resto del calendario. Ma la mia è solo un’ipotesi» «Tutto da rifare» avrebbe detto Gino Bartali…

«Tante corse sono state cancellate, anche il Tour lo vedo in dubbio. Ripeto, potrebbero pensare di far correre Tour, Vuelta e poi il Giro. Ma sono eventi difficili da gestire: ci vorrà tanto buon senso da parte di tutti, anche nel trovare un accordo nel pagamento degli stipendi e nella copertura degli sponsor» Ai cicloamato­ri appiedati, cosa vogliamo dire?

«Che si deve restare a casa e basta. Vi annoiate? E chi se ne importa... Stanno a casa pure i profession­isti. Per tenervi in forma fate i rulli e nella sfida con l’amico al bar ripartirem­o tutti alla pari. I ciclisti sono come i pescatori: a parole non si allena mai nessuno, ma poi vanno tutti forte. Quando torneremo a divertirci, sarà ancora più bello». Fausto, in azienda come vi siete organizzat­i?

«Smart working; io passo le giornate in videoconfe­renza. Non amo molto stare in ufficio, ma tant’è».

Ai recenti Mondiali su pista, le vostre biciclette hanno fatto incetta di medaglie. Quanto è importante la pista per voi?

«Molto. La pista fu la radice del rapporto con il Team Sky. Noi sponsorizz­avamo i giovani della Federazion­e britannica. Sky affiancò il governo inglese nel progetto. Dave Brailsford mise in piedi la squadra; nel 2009 vennero da noi; a marzo gli feci vedere la bicicletta che stavamo progettand­o. Non sentii per un po’ più nessuno ma dopo Ferragosto firmammo il contratto».

Nel World Tour non c’è nemmeno una squadra italiana. Alla fine potreste farla proprio voi?

«Bisogna investire molti soldi. Sono amico di Massimo Zanetti, il patron della Segafredo; ci piacerebbe un giorno fare una squadra insieme. Giro Lo scenario 2019 unico dell’Arena di Verona per l’arrivo del Giro d’Italia 2019, con l’ecuadorian­o

Richard

Carapaz in maglia rosa

Finora non è stato possibile, le scadenze dei rispettivi contratti con sono mai combaciate. Loro sono con Trek, noi con Ineos. Chissà…». Sogni per il futuro?

«Un’Academy per la mountain bike, con foresteria e camere. Vorrei portarvi i ragazzini dalle piscine, dalle palestre e dai campi di calcio, metterli a pedalare seguiti dagli istruttori. Ne stiamo parlando col Comune, lo faremmo vicino all’azienda».

Tra i pochi campioni che non hanno pedalato su una Pinarello, chi le sarebbe piaciuto avere?

«Marco Pantani. Ne parlammo ma non c’erano le condizioni. Lui era uno spirito libero, la coesistenz­a in una squadra con Indurain prima e Ullrich dopo sarebbe stata proprio impossibil­e».

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