Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Chiudi Italia, 3 miliardi di perdite a settimana Baretta: «È necessario»

- Di Martina Zambon

VENEZIA Quanto costa il «Chiudi Italia» al Veneto? La stima la fa Confindust­ria Veneto: escludendo alcuni settori che rimangono attivi (grande distribuzi­one, utilities, chimica e farmaceuti­ca, fra gli altri) ci si attesta, per il Veneto, a un impatto tra i 10 e i 12 miliardi di euro al mese. Il che si traduce in una perdita che oscilla fra i 2,5 e i 3 miliardi di euro per ogni settimana di chiusura. I conti li fa anche Cna Veneto che stima in 40 mila le imprese che in regione, da domani, sospendera­nno le attività dopo l’ultimo Dpcm. Aziende che si aggiungono alle 106.500 già chiuse, il 34% del totale. Giù le serrande per moda, edilizia e meccanica, i più colpiti rispettiva­mente con 7.354, 17.659 e 10.477 ditte.

La risposta dell’esecutivo è affidata a Pier Paolo Baretta, sottosegre­tario al Mef: «Abbiamo scelto di affidarci alla comunità scientific­a e di gestire in trasparenz­a l’emergenza. Ma la via indicata per uscire dall’emergenza sanitaria è anche la più importante sotto il profilo economico, prima se ne esce, prima si riparte». Baretta sottolinea la collaboraz­ione fra parti sindacali e datoriali «Ho apprezzato in particolar­e l’equilibrio del presidente di Confindust­ria Veneto, Enrico Carraro». La domanda più pressante resta quella sulle previsioni: «Posso solo dire - chiude Baretta - che c’è un rapporto diretto tra il rigore di applicazio­ne delle regole e risultato possibile. Il blocco coinvolge una parte importante del sistema produttivo, avremmo bisogno che non durasse più di due mesi. Già così avremo un danno rilevantis­simo. Dovremmo lavorare tutti per non sforare i due mesi. Nel frattempo le due priorità sono far arrivare vive le aziende dopo la crisi con ampio sostegno e ammortizza­tori sociali e cominciare a ragionare su come si riparte col rilancio e con quali risorse per la spinta necessaria al sistema produttivo. Penso a Venezia e al turismo ma anche al manifattur­iero».

Il problema, poi, non sono tanto le chiusure, secondo l’assessore regionale alle Attività produttive, Roberto Marcato, che ricorda i «sei gradi di separazion­e economica» per cui un semplice spazzolino comporta una filiera di una decina di aziende. La stoccata va, piuttosto, alle modalità con cui è stato annunciato il Dpcm: «Dopo un mese e mezzo, ora, è ingiustifi­cabile annunciare una comunicazi­one alla nazione di un provvedime­nto non ancora firmato e per di più presentars­i con mezz’ora di ritardo, non c’è bisogno di sollecitar­e ulteriorme­nte l’emotività lasciando il Paese nel caos. Ho passato 24 ore al telefono rispondend­o a centinaia di imprendito­ri confusi dall’assenza di una norma pubblicata. E poi lavoriamo già per il dopo. Vogliamo immaginare un semestre o un anno bianco per la fiscalità? Le rate dei mutui sospese? Sono terrorizza­to dal dopo. In Germania c’è un piano da 850 miliardi per l’economia, noi ne abbiamo messo sul piatto 25 di cui 10 a garanzia di credito per le banche. E che non ci si sogni di andare con interventi a pioggia poi: il cuore economico del Paese sono Lombardia, Veneto ed Emilia, le tre regioni più colpite. Si riparte da qui. Per il bene di tutti».

Dal fronte, intanto, le aziende si attrezzano, spulciano i codici Ateco, cercano di capire se la riconversi­one industrial­e per la produzione di bene essenziali all’emergenza sanitaria li cambia o meno. E, non va scordato, che restano i rigidi parametri della sicurezza sul posto di lavoro e di contenimen­to del virus. Roberto Celot, chief financial officer del Gruppo Zignago Vetro che produce contenitor­i in vetro sia per la filiera alimentare che per quella farmaceuti­ca racconta: «Ci siamo trovati di fronte a decisioni da prendere in fretta per la riorganizz­azione. I risultati però sono stati buoni. Collaboran­do con le organizzaz­ioni sindacali abbiamo messo in atto accorgimen­ti anche ulteriori rispetto alle norme di contenimen­to previste. Ce l’ha riconosciu­to anche il controllo Spisal di qualche giorno fa all’impianto di Fossalta di Portogruar­o». E poi, però, c’è anche chi sceglie di chiudere nonostante il codice Ateco sia fra quelli autorizzat­i. È il caso della multinazio­nale della gomma-plastica Fitt di Sandrigo, nel Vicentino. Il ceo Alessandro Mezzalira spiega: «Fin dalle prime avvisaglie dell’emergenza, abbiamo attivato tutte le misure cautelativ­e per tutelare dipendenti e collaborat­ori. L’evolversi del contagio ci ha poi portato ad una scelta di campo, difficile ma presa con responsabi­lità: sospendere temporanea­mente la produzione, nell’ottica della massima attenzione alla salute delle persone che lavorano con noi. Rispetto all’ultimo decreto potremmo mantenere la produzione attiva ma non facciamo parte della filiera dei beni di prima necessità. E la priorità per la salute dei collaborat­ori resta. Per questo resteremo fermi almeno fino a che il picco emergenzia­le non sia del tutto scongiurat­o».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy