Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
E i camici bianchi fanno causa alle Usl
Denuncia dell’Anaao, nel mirino i dg delle Usl venete. «Si indaghi sulle scelte compiute»
«Noi poco tutelati». Dopo i contagi e le morti l’Anaao (Associazione medici dirigenti) del Veneto fa un esposto ai Nas contro i dg delle Usl.
VENEZIA «Chiediamo alle competenti autorità di avviare le opportune indagini per accertare le eventuali responsabilità amministrative e/o penali a carico dei direttori generali delle aziende sanitarie della Regione Veneto». Dopo centinaia di contagi e decine di morti tra i colleghi (di ieri la notizia del decesso di Samar Sinjab, che operava a Mira), ora i camici bianchi vogliono giustizia e pretendono che siano individuati i «responsabili» di quanto sta accadendo nei nostri ospedali. Turni senza fine a fianco di pazienti isolati e lontani dalle loro famiglie, un virus «sconosciuto» e il pericolo quotidiano di diventare loro stessi malati nelle corsie dove lavorano. Anaao (Associazione medici dirigenti) del Veneto ha deciso di non restare più a guardare. Con un esposto ai Nas chiede appunto che si indaghi su scelte che stanno mietendo troppe vittime tra chi le persone è chiamato a salvarle.
Diciotto fitte pagine di norme, numeri e documenti a suffragio della tesi dell’Associazione: «Negare ai medici e al personale sanitario la possibilità di difendersi da un nemico invisibile è qualcosa che contrasta con il diritto, ma prima ancora è inaccettabile, perché tradisce il senso di equità che è insito in ognuno di noi». Il nodo sono i «Dpi», i dispositivi di protezione di cui si discute prima ancora che l’Oms dichiarasse la pandemia mondiale. Mascherine, tute protettive, visori per evitare che nel prendersi cura dei malati, il personale sanitario metta a rischio la propria vita, ben al sopra di quel margine di pericolo che il lavoro ha insito in sè.
«Si sapeva», scrive Anaao. E non si riferisce al virus, «sconosciuto finora», ma parla del rischio. Le organizzazioni internazionali della sanità, dopo epidemie come l’Ebola e la Sars, già nel 2007, ossia tredici anni fa, hanno messo nero su bianco che i medici e gli infermieri dovevano essere dotati di protezioni, specificandone anche il tipo. Ma in Veneto non sarebbero arrivate, nemmeno quando il coronovirus si è presentato nella nostra regione. E allo scoppiare dei focolai, denunciano i medici, il governo ha permesso con un decreto di usare mascherine che proteggono i malati ma non chi li cura. Ed è per questo che ora i medici pretendono chiarezza, perché a detta della loro associazione, non assistiamo a «malattie professionali» ma a «patologie di origine infettiva insorte sul luogo di lavoro in seguito ad esposizione ad agenti biologici che si configurano tecnicamente come infortuni sul lavoro».
Spetterà alle «autorità competenti» fare luce su quanto il personale sanitario denuncia, intanto il presidente del Veneto Luca Zaia, a distanza, replica: «Non ho ancora visto l’esposto ma è comunque bene che si chiariscano le situazioni una volta per tutte - commenta - C’è da dire che non c’era niente sul mercato all’epoca, né camici, né guanti, né mascherine: abbiamo vissuto quattro settimane di panico totale». Detto questo, i direttori delle Usl «risponderanno» e, sottolinea Zaia, «se Anaao ritiene di interpellare la magistratura o in questo caso i Nas ne ha piena facoltà. Quella dei Dpi è stata un’autentica tragedia».
La denuncia Turni massacranti e assenza di dispositivi di protezione al centro della denuncia