Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
L’appello delle donne in corsia «Aiutate noi e i nostri figli»
Lettera delle chirurghe: dottoresse e infermiere costrette a turni infiniti e con lo stigma delle untrici «Subito sostegni per conciliare lavoro e famiglia»
Mamme e professioniste nella sanità, da loro parte la richiesta di aiuto che coinvolge centinaia di mediche e infermiere: come facciamo con i nostri figli?
Mamme che lavorano 12 ore al giorno in prima linea negli ospedali. Chirurghe, oncologhe, neurologhe, cardiologhe, ma anche infermiere e fisioterapiste. Molte in trincea proprio nei reparti Covid, in cui la vita si rischia ogni giorno. Mamme e professioniste che dall’inizio della pandemia non hanno fatto un giorno di riposo o di ferie, per senso etico, ma anche per l’emergenza. Da loro parte la richiesta di aiuto che coinvolge centinaia di mediche e infermiere di tutto il Veneto: come facciamo con i nostri figli?
Eroine in corsia, ma «scansate» appena escono dall’ospedale, addosso lo stigma sociale più visibile di una lettera scarlatta, la paura del contagio. Così baby-sitter, aiuti domestici, vicini di casa si tengono alla larga.
Il rischio contagio, molto più alto per chi lavora in ospedale, incide quindi sulla gestione dei figli.
«Come ci organizziamo con i nostri bambini? Siamo sempre sotto pressione per non infettare la famiglia, quindi cerchiamo di fare molta attenzione con i genitori anziani, evitiamo di lasciare i bimbi a loro - fa notare Gaya Spolverato, chirurga oncologa di Padova, presidente nazionale di «Women In Surgery Italia», che parla a nome di una vasta categoria di donne impegnate nella sanità -. Abbiamo turni massacranti, non possiamo restare a casa in questo momento di emergenza. Non ci siamo assentate dal lavoro un giorno, lo stato di necessità non lo permette. Ma non troviamo baby-sitter , soffriamo dello stigma di untori che allontana da noi qualsiasi aiuto domestico».
Gaya Spolverato è la prima firmataria di una lettera che «Women In Surgery Italia», associazione nazionale di chirurghe nata nel Veneto nel 2015, rivolge alle istituzioni. «Siamo donne, mediche e chirurghe, coinvolte in prima linea nella cura dei pazienti dice la lettera - . Siamo scienziate, deluse dalla decisione di non aver ricevuto alcuna rappresentanza nel Comitato Tecnico Scientifico nominato per l’emergenza, come se non avessimo competenze adeguate. Siamo madri, compagne e mogli, figlie e nipoti che vivono con la preoccupazione per la salute dei familiari, messa a rischio dal nostro lavoro. Siamo sconfortate e indignate, perchè nei provvedimenti del governo non sono stati minimamente considerati gli interessi delle famiglie, delle donne e degli anziani, oltre ai bisogni di salute psico-fisica dei bambini e degli adolescenti. L’Italia non dimostra la stessa attenzione alle politiche di sostegno alla famiglia, all’istruzione e alla parità di genere. Sembriamo un Paese privo di inventiva, bloccato dalla paura, in una immobilità decisionale devastante». A nome di tutte le donne che lavorano nella sanità, le chirurghe denunciano: «Ci rendiamo conto che medici e infermieri, mediche e infermiere non sono i soli ad essere essenziali, ma certo sono quelli più tormentati dalla paura del contagio, quelli costretti a coinvolgere gli anziani nella cura dei loro figli in mancanza di altro supporto strutturato, soffrendo l’indelebile stigma di untori, che allontana qualsiasi altra fonte di aiuto domestico».
Un problema che a Padova è già stato sottoposto alla prorettrice dell’Università Annalisa Oboe, che coordina le iniziative dell’Ateneo in materia di pari opportunità. Nella lettera, le chirurghe di «Women In Surgery Italia» ribadiscono: «Come donne e mediche, chiediamo con urgenza interventi che permettano di conciliare vita professionale e familiare, in un momento critico nel quale non possiamo nè vogliamo rinunciare alle nostre responsabilità. Vogliamo servizi di accoglienza per i figli delle lavoratrici nella sanità, a piccoli gruppi, nel rispetto delle norme di sicurezza. Chiediamo il coinvolgimento di enti privati e associazioni che mettano a disposizione spazi e personale, con un adeguato sostegno economico del governo».
Dodici ore in corsia massacranti ma non possiamo restare a casa
Per senso etico e necessità non facciamo ferie da due mesi