Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Sos Disco: «Se salta l’estate molte non ripartiranno più»
VENEZIA Sono 242 in regione, con un indotto di 700 milioni l’anno. Le discoteche danno lavoro a quasi 9mila persone e sono ferme, causa virus. I gestori avvisano: se non si riparte ora, molti non riapriranno. Intanto Jesolo offre la trasformazione in risto-disco.
VENEZIA Rincari comprensibili ma non giustificabili. È la risposta generale da parte di istituzioni e associazioni di categoria alle notizie di prezzi «lievitati» negli esercizi di diverse città del Veneto, dopo la grande riapertura di lunedì. Come a Vicenza, dove chi si è avventurato a riassaporare il piacere dell’espresso al banco è rimasto con l’amaro in bocca oltre ogni aspettativa: in una cinquantina di bar la tazzina ha raggiunto quota un euro e trenta centesimi; un euro e cinquanta il cappuccino. Motivo: far fronte alle maggiori spese di gestione e alla «siccità» del lockdown.
Più salato il conto sulle poltrone di alcuni parrucchieri: ricarichi da cinque a dieci euro per la mantellina «di cortesia». L’effetto è stato sempre lo stesso: scatenare polemiche. Al punto che sul tema è intervenuto il presidente del Consiglio regionale, Roberto Ciambetti: «Aumenti dei prezzi? No, grazie, anche se, a ben vedere, in alcuni casi le giustificazioni possono starci. Quello che è inaccettabile, invece, sono aumenti non motivati che non possono incidere pesantemente nel portafoglio delle famiglie già provate». Il calo di fatturato per gli esercizi è consistente, certo, ma il rischio
è l’effetto «boomerang»: «Mi sembra illusorio e sbagliato – ha aggiunto Ciambetti – immaginare di poter compensare i mancati introiti dei mesi scorsi aumentando prezzi e tariffe: il rischio è quello di portare a una contrazione di consumi, che non è esattamente quello di cui abbiamo bisogno». Senza contare le possibili ripercussioni su un turismo ancora alla «Fase 0»: «C’è il rischio concreto di aumenti di prezzi che rendano meno appetibile nel mercato internazionale l’offerta turistica».
Il cliente non perdona. Lo sanno bene le associazioni di categoria, che hanno serrato i ranghi nel dire «no» ai prezzi gonfiati. «Ci sono arrivate segnalazioni di caffè rincarati da Vicenza, Verona e Padova: noi raccomandiamo di non aumentare – puntualizza il presidente regionale di Confcommercio, Patrizio Bertin – perché è un momento difficile per tutti, in cui bisogna fidelizzare le persone. Sarà il mercato a punire la minoranza che si comporta diversamente».
In attesa della «mano invisibile», anche Confesercenti ha preso precauzioni: «Abbiamo suggerito ai nostri associati di non rincarare, sebbene non ci abbiano dato segnali di avere questa intenzione – sottolinea la presidente per il Veneto, Cristina Giussani – certo, i prezzi di beni come frutta e verdura sono cresciuti all’origine e capiamo la difficoltà di rimanere aperti, anche senza fatturato sufficiente: spesso è un gesto di ottimismo verso la città». E poi taglia corto, ottimista: «Chi si rifà sui consumatori? Una minoranza rumorosa. Dal punto di vista del marketing è controproducente».
Notizie di tagli di capelli, tinte e pieghe più salati continuano ad arrivare invece a Tiziana Chiorboli, polesana presidente nazionale di Confartigianato imprese acconciatori e benessere, che non nasconde l’amarezza: «È successo in diversi casi – ammette - ma non sono rincari giustificati. Chi aumenta lo fa per scaricare sul cliente il costo del kit monouso “di cortesia”, con mantellina, mascherina e asciugamano, rifilatogli da aziende specializzate e tutt’altro che indispensabile per lavorare in sicurezza. Invito i miei colleghi a non metterci i bastoni tra le ruote da soli: se proseguiamo in questa direzione c’è il rischio di incentivare le attività abusive».