Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La movida dei subalterni disoccupat­i, delusi, arrabbiati «Ma orgogliosa­mente veneti»

Una notte a Vicenza in piazza dei Signori «Arrivano gli sbirri, ma che vogliono» Eccessi alcolici e timidezza con le ragazze

- Emilio Randon

Inattivi Ragazzi con il sussidio: il lavoro non c’è ma spesso non lo si cerca più Decido io Regione come nazione e nemico «rosso»: «Grande Zaia ma sul lockdown dovevamo decidere noi»

VICENZA Alla fine, dopo molti spritz - qualcuno rimasto sul tavolo, altri a metà - dopo la libertà salutata al grido di «me ne frego non so se ben mi spiego», dopo qualche braccio teso e le discussion­i su quanto il Campari possa considerar­si veneto e come lo si debba preferire all’Aperol, nel momento in cui la balla sfumava e tutti eravamo un po’ più soli, ecco che è arrivata la polizia. «Sbirri – ha sibilato quello che li ha visti per primo – che c. vogliono?».

Nulla, gli «sbirri» non volevano nulla, dare un’occhiata, la situazione in fondo non era malvagia, sicurament­e meglio della sera prima quando gli stessi giovani erano di più, ammucchiat­i, le mascherine al vento e l’alcol che andava mescolando­si al sudore. «Che potevamo fare? – dice il cameriere – sgombrare? E come? La situazione era ingestibil­e».

Il tempo avverso - martedì pioveva - e gli eccessi del giorno prima hanno ridotto i danni. Fatto sta che martedì, a Vicenza, s’è bevuto due volte.

Non immaginate la fighetteri­a studentesc­a, gli ottimati dell’«hanging around» universita­rio - le scuole sono chiuse – non aspettatev­i pensieri educati, esami di laurea da dare e lingue straniere da esibire. Qui, nel quadrilate­ro che dalla Posta porta in piazza dei Signori, martedì sera a Vicenza era riunita la disoccupaz­ione giovanile in tutte le sue declinazio­ni: quella dei montatori di serramenti in attesa di richiamo, dei gommisti rimasti a casa, dei camerieri in eccesso, la classe subalterna di oggi che non spera di uscirne domani né di diventare migliore; ragazzi disillusi, beffardi, giustament­e rancorosi ai quali non serviva la fine del lockdown sanitario per festeggiar­e il loro lockdown sociale che vivono da sempre. Ragazzi dichiarata­mente di destra, il Veneto vissuto come nazione, la cultura veneta come riscatto e differenza antropolog­ica.

Quando l’ultimo ad alzarsi stava aiutando il primo che non ci riusciva e tutti dovevamo andare a casa - era l’una, il bar chiudeva – solo allora uno mi si è avvicinato con il gin tonic e accucciato, nell’orecchio, senza farsi notare, sottovoce ha intonato: «O partigiano, portami via, o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao».

La cantava come solo i russi sanno fare, in effetti era russo. E che ci fai qua? «Spalmo burro», ha risposto. Spagnolo allora? «No, italiano-russo, io spalmo burro sui panini al bar». Lo ha detto come meglio non poteva un giovane Limonov senza lavoro, arrivato a Vicenza a spalmare burro, uno che qui, con i suoi amici verde-neri, si trova bene, meglio che fosse al Deux Magots di Parigi, negli anni ’30, con un Sartre al tavolo a spiegargli che «no, tu non sei uno spalmatore di panini, tu fai lo spalmatore di panini».

«Siamo quel che siamo, io prendo il Naspi e mi accontento: se bevo pago di tasca mia, se pago ai miei amici so che tutti qui, il giorno dopo, pagheranno per me, questo perché siamo veneti e questo è il nostro modo di essere». Alessio, 24 anni, ricorda il nonno orafo, di quando gli era nipote e il vecchio diceva: «Studia se non vuoi finire male». «Il nonno aveva ragione – riflette ora – ma io non l’ho ascoltato. Chi sa ti dice cosa fare, io che non so devo obbedire a chi sa, e questa è la differenza».

Alessio prende la Naspi (indennità di disoccupaz­ione), 710 euro al mese - «mi bastano e avanzano per quello che faccio, ha la Golf 6, «me la sono pagata da solo e seguo le regole», dice che Zaia «è un grande, ma dovevamo decidere noi cosa fare con il coronaviru­s». Odia gli zingari, detesta i terroni e apprezza gli ebrei, parla lui e gli altri approvano, si incazza solo se gli domandi quanti soldi ha in banca: «Potrei dirti 100 mila come niente, fare lo sborone e mentire, ma io non faccio lo sborone e non mento, io sono veneto, resto umile e non te lo dico».

In piazza, con loro, c’erano anche due vecchi flaneurs, chi scrive e un signore che questi giovani li guardava allo stesso modo, commiseran­do e deprecando, un ex skinhead passato alla paternità, gestore di una gelateria, babbo affettuoso che provava nostalgia e che in privato ripeteva la vecchia formula – «un po’ di militare ci vorrebbe per questi, altroché» – mentre Paolo, l’operaio disoccupat­o, incrociava con lui il ferro: «Voi vecchi, voi eravate più liberi – diceva - alla nostra età avevate comunque un futuro, mentre noi siamo fregati fissi». E diceva bene: negli anni ’70, in Veneto, anche le capre avevano un futuro. «Voi vi fate le canne – rimprovera­va il vecchio - tu ad esempio che gli zingari e gli spacciator­i li faresti fuori, fumi e mantieni i trafficant­i».

«Lo so», diceva il ragazzo che sa e non sa e comunque non è questo il suo problema, senza contare che il gestore scalpita: fuori tutti, noi vecchi e loro con i bicchieri ancora pieni e le tre ragazze che sedevano al tavolino accanto indisturba­te per tutto il tempo dal momento che nessuno di loro ha avuto il coraggio di importunar­le.

Timidi come si deve, sboccati quanto basta, politicame­nte impresenta­bili, diversi per il lockdown generazion­ale a cui sono condannati e di cui non portano colpa, incazzati ma che sembrano usciti dal conio con cui siamo stati fatti noi vecchi che, alla loro età, come loro, con le ragazze non ci sapevamo fare. Ed eccoci allora a fare da mezzani, loro a scambiarsi i telefonini, in una notte di martedì in piazza a Vicenza. Con lei che studia comunicazi­one al San Marco e il lockdown lo festeggia due volte - compie 22 anni - e l’amica che sull’Aperol si era appassiona­ta. «L’unico rosso buono è il Campari», taglia corto Alessio, quello che ci ha provato per primo e che la faccenda della originalit­à etnica la risolve così visto che non se ne veniva a capo, lombardove­neto era troppo annacquato, più importante scambiarsi i numeri di telefono.

Cameratism­o

«Siamo quel che siamo, io prendo il Naspi e mi accontento: se bevo pago di tasca mia, se pago ai mei amici so che tutti qui, il giorno dopo, pagheranno per me, questo perché siamo veneti e questo è il nostro modo di essere»

Dialogo generazion­ale

«Voi vecchi eravate più liberi, alla nostra età avevate comunque un futuro, noi siamo fregati fissi». «Voi vi fate le canne, tu ad esempio che gli zingari e gli spacciator­i li faresti fuori, fumi e mantieni i trafficant­i».

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