Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

I NOSTRI CENTO GIORNI

- Di Paolo Gubitta

Passeranno alla storia come «I 100 giorni della nuova Italia», li divideremo in due periodi e saranno una pietra miliare per la classe dirigente: sono i giorni in cui la società e l’economia italiane (e non solo) si sono piegate al passaggio del coronaviru­s. Chiameremo «I 70 giorni che hanno cambiato l’Italia» il periodo compreso tra il 24 febbraio 2020, primo giorno lavorativo dopo il decreto legge n. 6 che ha avviato le misure restrittiv­e per contenere il contagio, al 3 maggio 2020, ultimo giorno di lockdown prima dell’operativit­à del Dpcm 26 aprile 2020 che ha riaperto molte fabbriche e uffici. In questo arco di tempo, abbiamo rivisto immagini e rivissuto emozioni che pensavamo di aver lasciato alle nefandezze del Novecento: lutti familiari senza il conforto dell’ultima carezza, riti funebri non celebrati, colonne di mezzi militari carichi di bare con i feretri dei morti da Covid in marcia verso luoghi dove essere cremati con dignità. Nel periodo più acuto dell’emergenza sanitaria, abbiamo riscoperto «tutto il valore dello Stato e di chi lo serve». In certi territori e in alcuni comparti (non solo quello sanitario, s’intende), le strutture pubbliche hanno funzionato in modo eccellente e in altri un po’ meno.

Ed è proprio questo il punto. Ci si accorge di quanto contino le amministra­zioni pubbliche territoria­li solo nel momento del bisogno: ricordiamo­cene sia per cestinare il vizio antico di criticare lo Stato ad ogni pie’ sospinto, sia per studiare le aree di eccellenza nei servizi pubblici per poi diffondere in modo capillare i loro modelli gestionali.

Nei 70 giorni del lockdown, inoltre, abbiamo riscoperto le imprese e il lavoro. Chi in questo periodo ha avuto prima la capacità e poi il «privilegio» di continuare a lavorare, ha dovuto ri-orientare d’emblée tutti i processi decisional­i e i comportame­nti individual­i verso l’unico obiettivo rilevante: zero contagi in fabbrica e in ufficio. La continuità dei processi produttivi in sicurezza ha potuto contare sulla diffusa collaboraz­ione tra vertici aziendali, rappresent­anti sindacali e maestranze, che ha permesso il passaggio rapido allo smartworki­ng, la riorganizz­azione degli spazi per ragioni di sicurezza e la riprogetta­zione dei tempi di lavoro. È un’esperienza che ha insegnato «il bello e l’utile» della fiducia: questo bene comune non vada disperso e diventi prassi gestionale diffusa a tutti i livelli. In questi 70 giorni, infine, tutta l’Italia delle imprese e del lavoro ha dimostrato di essere una comunità ligia alle regole e di saperle rispettare. Ci è riuscita perché si trattava di regole, ancorché a volte un po’ prolisse, coerenti con lo scopo dichiarato (zero contagi) e percepite come utili. Chissà che il legislator­e, nazionale e regionale, continui in questa direzione. Passiamo ora al secondo periodo, che va dal 4 maggio 2020 (il primo giorno della Fase 2) al 2 giugno 2020 (il giorno prima del ritorno alla piena normalità), che definiremo «I 30 giorni della riscoperta dell’effetto Hawthorne». Cosa si è verificato in queste settimane? Ci siamo accorti che la straordina­ria prova di competenza profession­ale, di generosità diffusa in cui si specchia il bel popolo che siamo, di impegno senza se e senza ma (cioè, senza orari e senza badare alle declarator­ie contrattua­li) che abbiamo dato durante il lockdown non può durare nel tempo. E in effetti, appena entrati nella Fase 2 sono emersi i primi, timidi e legittimi, «distinguo» sulle modalità di organizzaz­ione del lavoro e i suoi corollari (spazio e tempo). Non si faccia l’errore di confondere questi «distinguo» con le logiche rivendicat­ive del

Novecento. Le persone che hanno avuto il privilegio di lavorare durante il lockdown sapevano di essere sotto i riflettori non solo dell’Italia ma del mondo intero, sapevano di essere al centro di un esperiment­o sociale studiato e osservato, ed è per tali ragioni che, anche in condizioni di lavoro peggiori rispetto a quelle ordinarie, hanno aumentato impegno e ottenuto prestazion­i a dir poco eccezional­i. Si chiama «effetto Hawthorne», è stato scoperto nel 1927 da un sociologo americano, e ci dice che le prestazion­i superiori non durano nel tempo. La ripartenza dell’Italia cominci da questa consapevol­ezza.

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