Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La fattura e il detective per la campagna elettorale
L’ex sindaco indagato ma non per un reato mafioso
Il «vicentino» (risiedeva di fatto a Piovene Rocchette) Antonio Lo Prete, ai domiciliari, insieme all’altro sodale Arcangelo Iedà, si occupava invece delle estorsioni: «So che hai tre figli», dicevano a un’imprenditrice. «Se non paghi ti facciamo a fette», ne spaventano un altro.
Non mancano poi altri «colletti bianchi», anche se nessuno di loro è finito agli arresti: il pm D’Alessandro aveva accusato il bancario Luca Schimmenti (prima nella filiale veronese della PopVi, ora in quella vicentina di Lonigo di IntesaSanpaolo) e il commercialista Cesare Nicoletti, entrambi veronesi, di concorso esterno in associazione mafiosa per aver aiutato la «locale» in alcune operazioni sospette a livello societario e finanziario; così come l’immobiliarista veronese Massimo Marchiotto avrebbe trovato dei capannoni per loro. Il giudice ha però ritenuto che servano ulteriori indagini. In cella sono invece finiti altri tre veronesi che si sarebbe intestati fittiziamente alcuni beni e società, ovvero il 77enne Silvano Sartori (che pare stesse anche per fuggire all’estero), il 52enne Ezio Anselmi e il 35enne Stefano Vinerbini. Dalle carte emerge anche l’ipotesi di una «talpa» tra le forze dell’ordine, allorquando nel 2016 alcuni membri della cosca erano scappati all’esecuzione di un arresto disposto dal gip di Verona grazie a una «dritta» raccolta da Toffanin, il cui autore è ancora in via di identificazione.
«E’ l’ennesima dimostrazione che la criminalità organizzata non è solo infiltrata, ma strutturata in Veneto - ha spiegato il procuratore capo Bruno Cherchi - I contatti con Amia sono pericolosi e allarmanti: ribadisco che oltre alla nostra attività serve che la società civile e le istituzioni politiche, economiche e sociali facciano la loro parte». «Al Nord la ‘ndrangheta non ha un apparato militare forte, ma un reticolo di rapporti anche con la pubblica amministrazione - ha aggiunto Francesco Messina, che guida la Direzione centrale anticrimine - Purtroppo ci sono anche imprenditori che, pur risultando estorti e pagando per la protezione, hanno dei vantaggi e diventano quasi complici».
VERONA Nelle pieghe dell’inchiesta della Dda di Venezia che ha portato all’arresto di 23 persone appartenenti o legate alla famiglia Giardino, considerata una cellula autonoma della ‘ndrangheta a Verona, l’ex sindaco Flavio Tosi si trova indagato per il reato di concorso in peculato. «Non ne so nulla, ne uscirò totalmente estraneo, come in tutte le altre occasioni», dichiara Tosi in una nota in cui rivendica di essere sempre stato «rigorosissimo» nel corso del suo mandato e di essere sempre uscito pulito dalle noie giudiziarie che lo hanno lambito negli anni.
Nell’episodio che gli viene ora contestato e risalente al luglio 2017, in realtà la famiglia Giardino o i suoi accoliti non c’entrano praticamente nulla, come nulla c’entra la ‘ndrangheta. C’entra, semmai, il rapporto con un suo vecchio sodale, Andrea Miglioranzi, all’epoca presidente dell’Amia. È a lui che Tosi, oggi semplice consigliere comunale di opposizione a Verona, avrebbe chiesto di saldare tramite la stessa azienda comunale che si occupa dei rifiuti in città, il conto da 5mila euro di un’agenzia investigativa assoldata durante la campagna elettorale delle amministrative conclusesi con la sconfitta della compagna Patrizia Bisinella ad opera di Federico Sboarina, di fatto la fine al suo decennio di dominio (quasi) incontrastato in città.
Gli inquirenti vi si imbattono perché sulle tracce di Nicola Toffanin, «l’avvocato», rimerciale, tenuto organizzatore delle attività criminose dei Giardino e già in rapporti con Miglioranzi per accreditare il centro studi del suo amico Francesco Vallone all’Amia e fatturargli alcune consulenze ritenute «fittizie».
Toffanin lavora anche per la Veneta Investigazioni e Tosi si è rivolto a lui per un incarico delicato: quello di risalire ai mandanti degli scatti «rubati» e dati in pasto ai social network durante la campagna elettorale che immortalano Vito Giacino, l’ex vicesindaco e alleato politico di Tosi prima arrestato e poi condannato per mazzette, prima con Bisinella e poi con lo stesso Tosi.
«Toffanin ha fatto solo alcune cose per noi come comcriminalità lavorando in particolare con mio fratello, di questa vicenda non so nulla», dice al Corriere del Veneto la titolare della Veneta Investigazioni Angela Stella Sole, anche lei indagata per concorso in peculato.
È il primo luglio 2017, due settimane dopo la sconfitta di Bisinella al ballottaggio. Toffanin, parlando con la Sole, le preannuncia un incontro «con il cliente Flavio» . I due parlano dell’investigazione fatta e non hanno grosse novità da comunicare. Toffanin dice di aver ricevuto una confidenza su chi ha scattato le foto, pensa che il mandante sia qualcuno vicino a Tosi, ma non ha prove. Insomma, è rimasto poco da fare se non chiedere di saldare il conto. E qui, Toffanin, se ne esce con una circostanza quasi comica: avrebbe ricevuto dall’entourage del nuovo sindaco, Federico Sboarina, l’incarico di bonificare gli uffici da eventuali microspie. Sarebbe quindi «imbarazzante», ritiene lui, se la fattura al neosindaco e al suo predecessore riportassero la stessa intestazione. Questo perché, annotano gli inquirenti, Toffanin teme che a pagare possa essere, per entrambi, Miglioranzi con i soldi di Amia, facendo così emergere che l’agenzia lavora con entrambi.
Due giorni dopo, il tre luglio, Tosi, Miglioranzi e Toffanin si incontrano in un bar di viale del Lavoro. Da intercettazioni successive, Toffanin descrive Tosi chiedere a Miglioranzi «una mano per pagare», come debito di riconoscenza per averlo fatto diventare presidente di Amia. Il pagamento, sempre a sentire Toffanin, sarebbe stato poi fatto, di almeno una parte della somma.
Tutto questo, per il gip, apre uno «squarcio sinistro», ma con elementi non sufficienti, a completare un quadro indiziario, che «potranno e dovranno» essere meglio approfonditi in successive indagini, magari andando a cercare traccia di quei soldi nei bilanci di Amia. D’altra parte, annota sempre il gip, è la stessa procura che «sembra non dar credito fino in fondo» al racconto «non sempre coerente» di Toffanin, tanto da tralasciare di coltivare altre ipotesi investigative, in particolare quella della provenienza del denaro contante, che secondo lo stesso Toffanin potrebbe provenire da Verona Fiere perché tenuto assieme da una fascetta «con la stampigliatura di detto ente».
In almeno due circostanze in passato il nome di Tosi è stato associato a quello dei Giardino. La trasmissione Report, nella puntata su Verona dell’aprile 2014, traccia per prima il collegamento sulla base delle dichiarazioni di un pentito di ‘ndrangheta, Luigi Bonaventura. Poi, nel filone calabrese della maxi-inchiesta Aemilia sul radicamento della ‘ndrangheta al Nord, spuntano intercettazioni che chiamano in causa un ex assessore di Tosi, Marco Giorlo, cui i Giardino avrebbero portato voti aspettandosi in cambio favori. In nessun caso Tosi, era mai stato accusato di alcunché.
” Tosi
Ne uscirò totalmente estraneo come in tutte le altre occasioni, sono sempre stato rigorosissimo