Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Un filo rosso tra mafia veronese, massoni e banda della Magliana
Emergono intrecci tra il clan veneto e altre organizzazioni
VERONA Una pista collega alcuni uomini della «locale» della ‘ndrangheta scoperta a Verona sia con le logge della massoneria, che con alcuni esponenti vicini alla Banda della Magliana. Per il giudice che ha ordinato gli arresti, si rinnova «un possibile accostamento tra potere mafioso e ambienti massonici».
VERONA Nicola Toffanin e Francesco Vallone. Due insospettabili. Il primo è un rodigino di 53 anni soprannominato «l’Avvocato», che di lavoro fa il procacciatore di clienti per un’agenzia di sicurezza che si occupa di bonificare gli ambienti dalle microspie. L’altro, Vallone, ha 42 anni, è nato a Vibo Valentia ed è titolare del centro studi «Enrico Fermi», che propone corsi di formazione.
La Dda li teneva sotto controllo da tempo. In una intercettazione si sente uno dei due che dice all’altro: «Quante c. di cose in comune abbiamo!». E ne hanno davvero tante. Entrambi residenti a Verona, entrambi arrestati giovedì dalla polizia con l’accusa di aver fatto parte della cellula ‘ndranghetista insediata nella provincia scaligera. Ma c’è molto altro, a unirli.
Nell’ordinanza del gip Barbara Lancieri, Toffanin viene descritto come un criminale con aspirazioni da boss: estorsioni, gioco d’azzardo, riciclaggio, traffico di rifiuti... È anche considerato l’uomo di collegamento nella storia di spionaggio (pagato con soldi pubblici) che vede indagato l’ex sindaco Flavio Tosi. Lui e Vallone - che invece «si autoproclama appartenente alla potente cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi» - fanno dei lunghi viaggi in automobile. Ed è dalle intercettazioni dei dialoghi avvenuti durante questi spostamenti, che emergono intrecci inaspettati.
La massoneria, per cominciare. «Grazie anche alla proprie aderenze nel mondo politico, imprenditoriale e delle professioni - si legge nell’ordinanza - Toffanin (...) è un elemento prezioso per la cosca, sia per essere una sorta di “insospettabile” sia per essere spendibile con i settori più appetibili, quelli della imprenditoria e della Pubblica amministrazione». Pur non avendo mai partecipato a un rito di affiliazione, ha un ruolo importante nella gerarchia mafiosa «potendo contare anche sull’appartenenza alla massoneria, privilegio di pochi scelti della ‘ndrangheta». È lui stesso ad ammetterlo: «Sono iscritto alla Rosa Croce!». E anche il suo amico Vallone, sebbene appartenga «alla loggia Mediterranea! Grande Oriente d’Italia... ma io ho il grado di “maestro” però!». E giù a vantarsi di aver trascinato nella massoneria perfino due politici del Sud. «Ma io sono “in sonno” dal 2010... mi sono messo “in sonno” quando sono venuto su», spiega quello che gli inquirenti considerano un uomo dei Mancuso.
Non è un dato da sottovalutare. «Alcune recenti acquisizioni giudiziarie - annota il magistrato - fanno riferimento all’esistenza di un’organizzazione sovraordinata, la “invisibile”, che si affiancava a quella “visibile”, rinnovando un possibile accostamento tra potere mafioso e ambienti massonici».
In un’altra intercettazione, il solito Toffanin spiega che «anche Paolo è massone!». Si riferisce a Paolo P., un faccendiere romano che farebbe da anello di congiunzione nientemeno che tra «l’Avvocato» e la Banda della Magliana. «Adesso io ho l’appuntamento con questo a Roma... è lui che me lo ha creato per il gioco, per le scommesse... È un personaggio! Questo è il braccio destro di De Pedis quello della Magliana, è socio in affari con Carminati». Per il giudice, Toffanin si preparava quindi a incontrare questo presunto fedelissimo di Enrico De Pedis, ucciso nel 1990 dopo essere stato il boss della Banda della Magliana (la più potente organizzazione mafiosa romana) e socio di Massimo Carminati, l’ex componente dei Nuclei Armati Rivoluzionari, arrestato nel 2014 nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale.
Se questi collegamenti siano autentici o soltanto una «vanteria», le indagini non l’hanno ancora accertato. Resta che proprio partendo dalle confidenze sulla Magliana e dai presunti collegamenti romani del clan Mancuso, Vallone si sente libero di esporre la sua teoria «secondo la quale - scrive il magistrato - nelle città del Nord e del Centro Italia ci sarebbe una sorta di volontà politica affinché non venga riconosciuta la sussistenza della fattispecie dell’associazione mafiosa pur ricorrendone tutti i presupposti».
Il giudice
Alcune inchieste hanno rinnovato l’accostamento tra potere mafioso e ambienti massonici