Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Lo storico Povolo: «Vi svelo chi rubò il teschio del Petrarca»

L’indagine dello storico Povolo: un frate e un medico tra i sospettati ma il colpevole è il nobile padovano Leoni che volle restaurare la tomba

- di Stefano Ferrio

Ha un nome e cognome, Carlo Leoni, nobile letterato e mecenate padovano vissuto

nell’800, il ladro del cranio di Francesco Petrarca, sommo poeta italiano nato il 20 luglio

1304 ad Arezzo, e morto il 19 luglio 1374 nel comune dei colli Euganei da allora noto come Arquà Petrarca.

Risale al 2004 l’eclatante scoperta della scomparsa del teschio, sostituito con quello di un’anonima donna vissuta almeno un secolo prima del poeta. Lo scambio fu appurato da un luminare dell’università di Padova come l’anatomo-patologo Vito Terribile Wiel Marin in occasione di una riapertura per fini scientific­i della celebre tomba dell’autore del «Canzoniere», eretta all’esterno della chiesa parrocchia­le di Arquà.

Sedici anni dopo è uno storico, il settantadu­enne vicentino Claudio Povolo, a individuar­e in Leoni il colpevole di questo giallo, appassiona­nte e spettacola­re, che diventerà libro il prossimo autunno, pubblicato dalla casa editrice veronese Cierre.

Già il titolo, che recita «Il frate, il conte e l’antropolog­o», lascia presagire un saggio con il passo del romanzo, animato da una folla di personaggi, coloriti e sfaccettat­i, degni di un classico di Charles Dickens. L’autore è noto come ordinario di Storia delle istituzion­i politiche all’Università di Venezia e ha abituato il pubblico a ricostruzi­oni minuziose quanto sorprenden­ti.

«Alla luce degli svariati testi che ho esaminato – racconta Povolo – dal ‘600 a oggi la tomba di Arquà è stata oggetto di ripetute aperture ed effrazioni, compiute per fini più o meno dichiarati, in una succession­e di eventi che restringon­o il quadro dei sospetti autori del furto ai tre personaggi a cui rimanda il titolo del mio libro». Come documentat­o all’interno del volume, il primo è un frate dai gusti libertini, il domenicano

Tommaso Martinelli, che il 27 maggio 1630 si impossessa di alcune ossa di Petrarca, probabilme­nte allo scopo di utilizzarl­e in uno dei filtri d’amore per cui è noto nel circondari­o. Il secondo è il nobile padovano Carlo Leoni che il 24 maggio 1843, con il sostegno dell’arciprete Giacomo Saltarini, finanzia e personalme­nte dirige un pubblico restauro del monumento. Infine, il terzo risponde al nome di Giovanni Canestrini, lo scienziato a cui il Comune di Arquà affida l’esame della tomba, avvenuto il 6 dicembre 1873, in vista del quinto centenario della morte di Petrarca.

In realtà, quest’ultima riapertura si rivela disastrosa perché, a contatto con l’aria, le ossa del poeta iniziano a sbriciolar­si, ragione per cui tutto si svolge in modo più frettoloso del previsto, con il risultato che, a posteriori, più di una nube si addenserà sulla figura di Canestrini. «Un primo, sommario esame di questi fatti – precisa Povolo – mette in cattiva luce sia il frate che l’antropolog­o quali possibili autori del furto. In realtà, come spesso succede nei gialli della migliore tradizione inglese, il colpevole si rivela essere il più insospetta­bile dei tre. Questo erudito e un po’ tronfio Leoni, dopo il restauro del 1843, non solo smette di farsi vedere ad Arquà, nonostante lì possa dimorare in una casa di famiglia, ma, tre giorni dopo la riapertura della tomba affidata a Canestrini, scrive a quest’ultimo una lettera dove per la prima volta ammette che, nella riesumazio­ne da lui diretta trent’anni prima, ha maneggiato il cranio del Petrarca». «In particolar­e – continua lo storico – esalta la solidità di un teschio che addirittur­a ha risuonato al tocco delle proprie nocche, come per gettare un’ombra sull’operato dell’antropolog­o, fingendo di ignorare una sostituzio­ne già avvenuta».

A provare quest’ultima, e quindi il furto, sono vari fatti, secondo Povolo. Tra i più significat­ivi spiccano: la cornice di illegalità del restauro effettuato dal nobile padovano contro il volere della comunità di Arquà e in assenza di una qualsiasi autorità accademica; la complicità del parroco, don Giacomo Salterini, che si porta in canonica una costola del poeta, poi ricollocat­a all’interno della tomba nel 1855; l’inattendib­ilità del disegno dello scheletro affidato da Leoni all’artista Antonio Gradenigo; le tessere del cappuccio posto sul capo del cadavere, spedite in omaggio dallo stesso Leoni a varie personalit­à della cultura italiana fino alla sua morte, avvenuta nel 1874.

Affiorano, fra queste vicende da legal thriller, temi non meno avvincenti come la contesa dell’«eroe Petrarca» fra il paesino Arquà e il capoluogo Padova, o il culto anglosasso­ne dei sepolcri, che porta per ben tre volte il grande poeta inglese George Byron a omaggiare la tomba del poeta italiano. La cui stella brillava in modo così seducente da fornire a Povolo il movente del furto compiuto da Carlo Leoni: «Stabilire un’ineffabile relazione personale con colui che riteneva il sommo dei poeti».

Dal ‘600 a oggi la tomba di Arquà è stata oggetto di ripetute aperture ed effrazioni

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La riconigniz­ione nella tomba di Petrarca ad Arquà, da qui la scoperta del furto del teschio
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L’apertura del 2003
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