Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Pasta Zara, il concordato è bocciato in Appello
Accolto il reclamo di alcune banche creditrici. Bragagnolo: «Un intoppo, andremo in Cassazione»
TREVISO La Corte d’Appello ha bocciato il concordato di Pasta Zara. Bragagnolo: «Solo un inghippo».
TREVISO Concordato preventivo di Pasta Zara, per i giudici della Corte d’appello di Venezia si deve ripartire (quasi) da zero e il fascicolo passerà presto alla Cassazione per il verdetto definitivo.
La Corte lagunare, chiamata a pronunciarsi sui ricorsi prodotti da Sace, Finint e Banco delle Tre Venezie contro l’omologa del progetto di accordo con i creditori presentato dal pastificio di Riese Pio X e firmata il 28 gennaio di quest’anno dal giudice fallimentare di Treviso, Antonello Fabbro, in 103 pagine di sentenza ha di fatto smontato quasi integralmente sia le valutazioni del magistrato trevigiano sia, per molti aspetti, l’operato dei commissari giudiziali Lorenza Danzo, Marco Parpinel e Danilo Porrazzo.
I temi trattati sono molti e articolati. In senso generale, le banche che hanno proposto reclamo ai giudici d’appello lamentano la carenza delle informazioni trasmesse dai commissari ai creditori per metterli nelle condizioni di votare consapevolmente la proposta di concordato, così come non si ritiene documentato il fatto che quest’ultima fosse la soluzione migliore per garantire gli interessi di chi da Pasta Zara avanzava denaro. A sostegno di tutto ciò, vengono portate alla luce operazioni rispetto alle quali i commissari e il tribunale di primo grado non sarebbero andati abbastanza in profondità. Come, per citarne alcune, gli ingenti versamenti alla controllante lussemburghese Ffauf, riferibile alla famiglia proprietaria Bragagnolo, di forti somme di denaro (67 milioni dal 2014 al 2017, più della metà dei quali nell’ultimo anno e dunque in piena crisi aziendale) e «il riconoscimento agli amministratori di compensi per 2,57 milioni nel 2015, 3,37 l’anno dopo e 2,57 nel 2017, del tutto sproporzionati in considerazione della situazione in cui si trovava la società».
Per contestualizzare il tutto è necessario ricordare su cosa vertesse la proposta concordaconfronti taria. Con il piano, presentato alla magistratura il 7 dicembre
2018, Pasta Zara si rendeva disponibile a saldare le pendenze con i creditori per circa il
56% del dovuto (in quote e tempi differenziati a seconda della condizione di privilegiati o chirografari più o meno strategici), cioè trasferendo loro oltre 165 milioni a fronte di un debito complessivo di 295,3.
Come sarebbero state recuperate le risorse? In primo luogo dalla cessione a Barilla dello stabilimento di Muggia, operazione che si dovrebbe chiudere in via definitiva il mese prossimo, per 118 milioni. Un ulteriore finanziamento per 25 milioni sarebbe giunto dalla Sga, società alla quale confluirono le passività delle due ex Popolari venete (nei delle quali, peraltro, Pasta Zara era esposta in modo vistoso), e infine la controllata Pasta Zara 3, cioè lo stabilimento di produzione di Rovato (Brescia), avrebbe contribuito per 26,7 milioni con i flussi di cassa attesi entro il 2024.
Per i commissari lo schema così strutturato doveva ritenersi «preferibile, nell’ottica della maggior soddisfazione dei creditori, al fallimento della società» e lo stesso venne alla fine approvato dal 70% dei creditori. Ma non dalle banche ricorrenti che, con le loro obiezioni, hanno convinto i giudici veneziani. La Corte d’appello, presieduta da Domenico Taglialatela, ha accolto i reclami di Banca Finint, Finint Investments e Banco delle Tre Venezie e perciò «in totale riforma del decreto pronunciato dal Tribunale di Treviso, rigetta la domanda di omologa del concordato preventivo».
Il pronunciamento dei giudici di secondo grado, comunque sia, non sembra inquietare il presidente di Pasta Zara, Furio Bragagnolo, che annuncia il ricorso in Cassazione. «Nulla più che un inghippo – commenta – che non fermerà in alcun modo il percorso del concordato e i progetti del piano industriale. Certo, se anche in appello i giudici ci avessero dato ragione, adesso molte cose sarebbero più semplici, ma l’Italia è sempre il Paese dei tre gradi di giudizio prima della chiusura definitiva di una vertenza».
Ma l’omologazione del concordato non era la condizione necessaria, secondo Barilla, per acquisire l’impianto di Muggia? «È stato sufficiente il giudizio di primo grado – risponde Bragagnolo – e a breve il passaggio sarà perfezionato in ogni suo aspetto». Nessuna ansietà anche dal fronte sindacale: «La transizione verso lavorazioni a ciclo continuo a Riese Pio X prosegue – rileva Michele Gervasutti, segretario Uila Uil – e le nuove assunzioni in programma sono già iniziate».