Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Viaggio nel profondo Zaiastan «Ci ha ridato il sogno dell’identità»
VITTORIO VENETO Non è Lukashenko, è «Lucazaia» anche se son numeri da Bielorussia. Senza trucco senza inganno, puro amore. Che se ne farà di tanta ovazione - come spenderà il suffragio, si monterà la testa, rischia l’indigestione? - a questo punto interessa poco: il problema sembra che siamo noi, veneti «in love», gente da definire, elettori-cittadini travolti da insolita passione che, in pieno transfert psicanalitico, in Luca Zaia abbiamo visto il nostro doppio.
Già lunedì sera il mito era mitologia, si esagerava con l’en plein e Ottavio Pasquotti un po’ ne diffidava. Pasquotti è un vecchio socialista ancora in servizio, fa l’assicuratore e dal suo ufficio a Vittorio Veneto guarda la piazza del Municipio, è abituato a calcolare rischi e probabilità, e questa eventualità l’aveva prevista: «Vengo da una stagione in cui ognuno conosceva e contava i suoi elettori, i risultati li sapevamo la sera prima dello spoglio. Ora i tempi sono cambiati ma Zaia lo ha reso di nuovo possibile, pare».
«Il governatore gode di una memoria formidabile – ricorda chi si ricorda – riesce a tenere a memoria i nomi di tutti, fosse alla festa degli alpini o a quella della salsiccia. Se un politico ti riconosce per strada e ti saluta dicendoti ciao Bepi come stai? tu lo voterai per sempre».
Vittorio Veneto, Sinistra Piave, vale qualsiasi altra località della Pedemontana, fossimo andati in pianura, a Vo’ Euganeo o nel Veronese, non sarebbe stato diverso (l’87 per cento a Vo’) il 93,1 per cento a San Mauro di Saline, al punto che qualcuno ha certificato che Luca Zaia, da solo, fa il quarto partito del Paese, subito dopo la Meloni. Come un tempo nei giornali i criminologi e i vaticanisti, ora servono gli zaiologi.
I migliori li trovi nel campo avverso – rari ma facilitati dal momento che nelle loro mancanze
” Pasquotti Zaia? Un pubblicitario. A noi di sinistra manca una risposta al mondo produttivo
” La signora Si fosse chiamato Salvini non l’avrei votato. Il capo della Lega è arrogante
” Bagliana Un grande, tutto ciò che va male è colpa di Roma, tutto ciò che va bene è merito suo «Quella di Zaia è un’illusione. E a 96 anni non si cade più rapiti dal canto delle sirene»
riconoscono le virtù dell’avversario – gente di sinistra per lo più, ma è proprio da loro che bisogna andare per sentir tessere le lodi più disinteressate. «Zaia è un pubblicitario eccezionale – spiega Pasquotti – a noi manca una risposta adeguata al mondo produttivo che è storia e identità veneta. La sinistra riformista è riconosciuta come quella del reddito di cittadinanza, inconciliabile con il sentimento dei veneti. Gli insegnanti ad esempio spendono in classe il 30 per cento del loro orario di lavoro, eppure è dentro quel 30 per cento che fanno sciopero. Pura disfunzione, la sinistra vi si identifica e paga».
Al bar sotto i portici, due signore sono alle prese con l’aperitivo. Una è bellissima e ha 96 anni, siciliana dagli occhi chiari come lame: «A 96 anni non si cade più rapiti dal canto delle sirene, quella di Zaia è un’illusione. Ne ho viste di più grandi e terribili nella vita». L’amica di sinistra confessa di esserci caduta ma con un’avvertenza: «Si fosse chiamato Salvini non l’avrei votato. Il capo della Lega è arrogante e antipatico».
Un signore di cui ci è proibito di rivelare il nome e l’età – ma l’anagrafe è adeguata e anche il passato – offre per un ritratto a tinte forti: «Carlo Bernini,
il gran doroteo, quando lo vide da giovane ne fu impressionato: “Se non fosse leghista sarebbe un perfetto doroteo” disse. È uomo omnibus, incarna l’ideologia moderata del Veneto e ne interpreta l’anima democristiana. Qui è forte il desiderio di identità, lo andiamo cercando da quando l’abbiamo perso con la caduta della Serenissima, secoli senza. Con il democristiano Bernini i veneti un po’ l’avevano ritrovato, poi la Dc li lasciò orfani, ora Zaia ci ha ricongiunti al sogno dell’identità. Una grande operazione di fabbrica identitaria».
Il Veneto nazione, il suo popolo etnia, la lingua una bandiera. «Mettiamola così e la dico brutta, ma sono milanese di origine e lo posso fare: succede che chi non sa parlare italiano ora è orgoglioso di non saperlo parlare. Ecco il miracolo che ha fatto Zaia, qui la radice del suo successo». Costui è un milanese, uomo di mondo, urbanista di professione e subito pentito di quel che ha detto. Racconta del Prosecco, di come Zaia ha inventato una Doc inesistente.«È un mago, uno che quando ti dà uno schiaffo tu lo ricambi con un bacio» spiega Mirella Bagliana, candidata alla Regione per «il Veneto che vogliamo», un Veneto che non vedrà mai e al quale sembra rassegnata: «Grande, tutto ciò che va male è colpa di Roma, tutto ciò che va bene è merito suo».
Marco dà un’ulteriore pennellata al quadro: «Zaia dice che non fa comizi, ma lui è un comizio fatto persona. Persino nella sottrazione comizia, usa l’arte della differenza meglio del Moretti di “Io sono un autarchico”; come l’altra sera in televisione quando, a chi lo incalzava “Mes sì, Mes no”, lui rispondeva: ”Non rispondo”. Non dirlo è il suo comizio, il sottotesto racconta di lui meglio delle parole, è lo Zaia che rivendica la propria lontananza dalle formule romane, sì e no per lui pari sono, sono la lingua della politica, le caselle di un discorso nel quale non rientra. Lui è altro, la gente capisce e lo ama».
«Lavoravo in ospedale a quel tempo – ricorda una giovane donna – mi affascina ancora il modo in cui Zaia pagava il ticket del parcheggio e faceva la fila, molto meglio di un comizio».
Mauro, elettore di sinistra, si rifà a una passione di Zaia: «È un cavallerizzo provetto, monta il malumore come la soddisfazione con la stessa maestria. Ha inventato un nazionalismo veneto come Milosevic quello serbo. Qui da me, 50 anni fa, mia madre di Serravalle litigava con mio padre di Ceneda e il trevigiano era malvisto quanto il veneziano. Che grande operazione l’invenzione dell’identità veneta».