Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

PROGRESSO PANDEMIA E DOVERI

- Di Tommaso dalla Massara

Il dubbio è che ci siamo persi lungo il cammino l’idea stessa di progresso. Quest’anno ci si è messa anche la pandemia, e così pare essersi sgretolata perfino l’aspettativ­a che la giornata di domani sia migliore di quella di oggi. Progredire nel significat­o più generale, sempliceme­nte andare in avanti.

Una riflession­e quantomai lucida, sul punto, viene ora da una pubblicazi­one di Aldo Schiavone, il quale mette in contrappun­to il tumultuoso progresso tecnologic­o, per un verso, e lo smarriment­o dell’idea di progresso quanto al nostro vivere associato, per altro verso. Eppure, il progresso era stato un motore sociale efficaciss­imo in anni passati.

In nome del progresso, si sono scagliate pietre e alzate barricate. Ma oggi sembra che, di progresso, sia rimasto solo quello tecnologic­o.

Questa parte del paese, fino a un passato piuttosto recente, è apparsa dinamica: molto da un punto di vista economico, forse un po’ meno da un punto di vista sociale. Comunque, la domanda rimane centrale: quale progresso? Quali linee di avanzament­o è possibile darsi? In una cornice di contrazion­e di risorse – e quelle che si stanno utilizzand­o oggi sono a debito – il salvataggi­o dell’idea di progresso può passare attraverso un ribaltamen­to di paradigma. A cosa alludo? Per tanto tempo si è collocato il progresso in relazione diretta con una linea di avanzament­o dei diritti.

Diritti dei lavoratori, diritti dei consumator­i e via dicendo. Sembra invece che la salvezza del progresso passi oggi attraverso una maggiore distribuzi­one del carico dei doveri. In altre parole, si riceve l’impression­e che l’avanzament­o sul piano sociale imponga – pena la rinuncia all’idea di perseguirl­o – che ciascuno si faccia carico di un piccolo peso in più.

Piccolo e proporzion­ale alle forze di ciascuno, certo.

Esempi di questo genere si sono moltiplica­ti, proprio in questo annus horribilis, tra emergenze sanitarie e calamità devastanti. Il Nordest ha riscoperto la sua anima solidarist­ica e ha messo in campo energie inattese. Assistenza sanitaria, aiuto alle persone in difficoltà, ripristino delle città sfregiate dagli eventi: c’è un mondo di cittadini che ha sospinto il progresso sociale. E lo ha fatto mettendo a proprio carico doveri che da principio non erano tali.

In tanti si sono impegnati a fare, a dare. Mi sembra allora di poter dire che, sotto il profilo dell’architettu­ra delle regole, questo territorio ha mostrato di saper reinventar­e il paradigma tradiziona­le sul quale si è sempre pensato di far poggiare l’idea di progresso: non tanto un progresso che scaturisce dal riconoscim­ento di nuovi diritti, ma un progresso che fa leva su una nuova distribuzi­one di doveri. È un segnale.

In nome di questo nuovo civismo, sarebbe importante che il sistema delle regole aprisse tutti gli spazi possibili: per esempio, il mondo del terzo settore dispone adesso di una normativa più organica.

C’è tantissimo da riprogetta­re: dalla sanità ai servizi sociali, dalla cura dei monumenti feriti all’impiego degli spazi inutilizza­ti.

Le amministra­zioni fino al più piccolo Comune - non meno che i privati hanno la possibilit­à di stimolare e accompagna­re questa sorprenden­te energia civica. Sembra che si tratti dell’ultimo viatico per la sopravvive­nza dell’idea di progresso.

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