Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Agsm-Aim, la fusione è fatta Un gruppo da 1,5 miliardi
Le multiutility di Verona e Vicenza si aggregano in un gruppo da 1,5 miliardi di ricavi. Ma rimane il nodo di un terzo partner per fare il vero salto dimensionale
Con il voto dei due consigli comunali di Verona e Vicenza, in rappresentanza delle rispettive proprietà, si è perfezionato ieri il processo di aggregazione tra le due multiutility cittadine, Agsm e Aim. Dalla fusione nasce un gruppo da 1,5 miliardi di ricavi, in cui Verona avrà la maggioranza del 61,2% e potrà indicare il presidente.
Ealla fine fusione fu. Non è mai troppo tardi per mettersi insieme, anche se bisogna riconoscere che le trattative prematrimoniali sono state lunghe, estenuanti e continuamente esposte a venti capricciosi e contrari. Da ieri, con il voto in contemporanea dei due consigli comunali cittadini chiamati a esprimere la volontà delle rispettive proprietà, le multiutility di Verona e Vicenza, Agsm e Aim, hanno unito i loro destini, realizzando - con decorrenza operativa dall’inizio dell’anno prossimo - una delle pur sempre rare aggregazioni nel Veneto dei molti (troppi?) campanili.
Con evidente sforzo di fantasia, l’hanno voluta chiamare (ma la denominazione è provvisoria) Mu-Ven. Un acronimo che starebbe per Multiutility del Veneto, quasi a voler sottolineare il valore più ampio, sovraprovinciale e come minimo regionale, della nuova realtà dei servizi integrati. L’ambizione è dichiarata: «L’obiettio strategico - si legge nella nota congiunta relativa all’accordo quadro raggiunto alla fine di giugno - è di dare vita a un gruppo che possa giocare un ruolo di primo piano, propulsivo e aggregativo, nell’intero Nordest». Tradotto in cifre: dall’integrazione delle due storiche insegne, eredi delle vecchie aziende municipalizzate di Verona e Vicenza, nasce una realtà che genera ricavi aggregati per quasi 1 miliardo e mezzo, si presenta al mercato con un Ebitda di 147 milioni e può contare su 2.000 e passa dipendenti. I dati finanziari sono riferiti, per dovere di cronaca, all’esercizio 2019 e perciò si tratta di cifre pre-Covid, destinate quasi certamente a contrarsi quest’anno (e anche il prossimo) per l’effetto indotto dalla pandemia. Nei nuovi equilibri interni peserà di più Verona, che avrà il 61,2% della neonata società e potrà esprimere il presidente (voci insistenti danno in pole position il potente leghista scaligero Paolo Paternoster, ora deputato della Repubblica) e il consigliere delegato, cioè il vero e proprio capo-azienda operativo, che però dovrà riscuotere anche il gradimento di Vicenza.
Tutto ciò detto, rimane l’interrogativo di fondo: si tratta di numeri che giustificano le ambizioni enunciate? Un miliardo e mezzo di ricavi e 147 milioni di Ebitda fanno di Mu-Ven, o come meglio si chiamerà in futuro, una costruzione robusta ma non proprio un colosso del settore, soprattutto se paragonata ai vicini nordestini di Hera (7,4 miliardi di fatturato, sempre nel 2019) e a quelli lombardi di A2a (7,3 miliardi). Quindi, torna a proporsi il tema, temporaneamente accantonato dopo abbondante spargimento di sangue allo scopo di disinnescare le trappole politiche sul cammino dell’aggregazione, della futura ricerca di un partner industriale che irrobustisca la neonata struttura.
In un cassetto c’è sempre la proposta di A2a, a suo tempo individuata come terzo polo del progetto di integrazione ma poi tenuta fuori per le insofferenze manifestate in particolare dalla Lega veronese, al punto da indurre a irrevocabili dimissioni agostane l’ex numero uno di Agsm, Daniele Finocchiaro, uomo di solido background confindustriale: «Il salto dimensionale ottimale - ha scritto nell’occasione Finocchiaro in una lettera indirizzata all’azionista di riferimento, il sindaco di Verona Federico Sboarina - non è garantito dalla sola aggregazione con Aim se non viene accompagnata da un partner industriale». E sempre lì si torna. Nella partita potrebbero avere un ruolo anche l’altro colosso, Hera (che ha calato sul tavolo il jolly del termovalorizzatore di Padova, un impianto che manca nel ciclo del trattamento rifiuti di Verona e Vicenza), e pure l’abbinata trentino-sudtirolese Dolomiti Energia-Alperia, più piccola per dimensioni ma impreziosita da un’interessante dote di impianti idroelettrici tipicamente montani. Se la nuova Mu-Ven fosse interessata, Hera e Dolomiti-Alperia hanno già fatto sapere di essere disponibili a valutare la presentazione di un’offerta congiunta per una partnership industriale con VeronaVicenza.
Gli ultimi passaggi del tribolato iter di fusione hanno risentito del lungo scontro politico, sebbene il processo aggregativo sia stato in qualche misura agevolato, dal 2018 in avanti, dal fatto che le due città hanno assunto un «colore» omogeneo, essendo amministrate entrambe dal centrodestra. Ciò nonostante, le umane resistenze dei «piccoli» a essere inglobati dai più grandi hanno avuto il loro peso. Ancora ieri pomeriggio, durante il consiglio comunale decisivo (dove poi la delibera di fusione è stata approvata con 19 voti favorevoli, tutti di maggioranza, e 12 contrari), le opposizioni vicentine hanno inalberato uno striscione in rima che è la sintesi di tutte le frustrazioni di parte berica: «Rucco e Sboarina (i due sindaci, ndr), Vicenza va in rovina». Nei matrimoni d’interesse va sempre così: non è amore ma la legge del più forte.