Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
EMERGENZA I PUNTI DEBOLI
«Emergenza», secondo il Grande Dizionario della Lingua Italiana, significa «occorrenza, caso fortuito, circostanza imprevista, perlopiù di una certa gravità». Ora, tutto si può dire dell’attuale fase della pandemia fuorché si tratti di una circostanza imprevista. Lo era, indubbiamente, all’inizio di questo anno, quando sono cominciate ad arrivare le prime notizie dalla Cina sulla diffusione del virus. Lo era ancora all’inizio della primavera, quando la diffusione e la portata del contagio ha colto drammaticamente alla sprovvista strutture sanitarie, istituzioni e cittadini. Ma dopo almeno otto mesi non si può certamente parlare più di una situazione imprevista o imprevedibile e continuare ad affrontarla come tale.
Questo naturalmente non significa che tecnicamente non vi siano ragioni per prorogare il cosiddetto «stato di emergenza».
Uno stato che consente ad alcuni settori della pubblica amministrazione di mettere in atto determinate procedure.
Tuttavia non è possibile affrontare alcuni problemi con un atteggiamento «emergenziale». Facciamo un esempio concreto: i trasporti. Si sapeva dallo stop di marzo che in autunno, con la ripresa delle scuole e delle altre attività, i trasporti sarebbero divenuti un collo di bottiglia. Non si tratta di situazione emergenziale imprevedibile, né di breve durata, ma destinata a durare per mesi se non per l’intero anno scolastico. Servivano più mezzi, più corse, nuove idee e strategie per rafforzare il trasporto pubblico. Senza ciò, quello che accade in queste settimane era del tutto prevedibile: trasporto pubblico sovraccarico, traffico al collasso poiché molti temono che bus affollati siano luoghi a rischio contagio e si spostano o accompagnano i figli in auto. Con rare eccezioni, non è stato fatto quasi nulla. Si dirà: ma l’acquisto di nuovi mezzi e l’aumento delle corse ha costi rilevanti e tempi lunghi. Ma allora a che cosa serve lo stato di emergenza? Non era proprio questo uno dei settori su cui intervenire e investire per tempo, con procedure e risorse eccezionali, per garantire maggiore sicurezza e agevolare studenti e lavoratori? Il problema non è parlare di emergenza, né prorogare lo stato di emergenza. Il problema è il significato che si dà alla parola. Se serve a gestire con mezzi «straordinari» una situazione di crisi, allora può avere un senso. Se invece conduce a una gestione improvvisata allora è solo una scusa sciagurata per tentare di giustificare la propria incapacità e inefficienza.