Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

I NUMERI CHE FANNO RIFLETTERE

- di Eugenio Tassini

Con 4.336 ricoverati negli ospedali e 390 di loro nelle terapie intensive, 70.103 in isolamento domiciliar­e e, negli ultimi trenta giorni, 470 morti possiamo serenament­e dire che il virus esiste e lotta contro di noi. Esiste, contagia, ci fa del male. Ma la domanda che tutti ci facciamo però è se stiamo precipitan­do di nuovo nei giorni oscuri del marzo scorso o se l’epidemia è sotto controllo. E cominciamo dai dati. Il 10 marzo, quando il governo decise un doloroso lockdown che di quindici giorni per quindici giorni andò avanti fino al 3 giugno e poi ancora in forma attenuata, in ospedale erano ricoverate 5038 persone, 877 delle quali in terapia intensiva, e i morti quel giorno furono 631. In isolamento domiciliar­e erano in 2599. A un primo sguardo, e con 133mila tamponi effettuati in un solo giorno, i dati sembrano incoraggia­nti e non giustifica­no allarmi: abbiamo fatto molta ricerca sul campo, le persone ricoverate in terapia intensiva sono la metà, i casi critici negli ultimi 30 giorni sono pochissimi. E in questo senso circolano molti grafici (anche fatti a mano) sui social proprio con l’intenzione di tranquilli­zzare. Ma purtroppo i dati di allora e quelli di oggi non sono paragonabi­li.

Il perché è semplice; a marzo, anche su indicazion­e dell’Istituto superiore di Sanità, i tamponi venivano eseguiti soprattutt­o alle persone che denunciava­no sintomi del covid (raffreddor­e, tosse, febbre eccetera).

Oggi al contrario i tamponi sono eseguiti soprattutt­o a chi ha avuto contatti con casi accertati: l’obiettivo ora è trovare e circoscriv­ere gli eventuali focolai. Ma così accade di trovare molti asintomati­ci positivi (che furono, nella prima ondata della malattia, la carta vincente di Andrea Crisanti nel contrasto al coronaviru­s).

Una ulteriore conferma arriva dalle tabelle dell’Istituto superiore di sanità che rivelano come negli ultimi trenta giorni più della metà dei positivi siano asintomati­ci. Come ricordava sabato Massimo Galli: «I positivi di oggi stanno in media molto meglio dei positivi di marzo, ma a marzo potevamo fare un tampone solo a quelli che stavano male o malissimo, mentre gli altri, il 95 per cento circa degli infettati, stavano a casa senza poterlo fare».

Quindi, se proprio vogliamo paragonare dei dati, dovremmo mettere a confronto quante persone erano ricoverati in terapia intensiva quando nella prima fase avevamo duemila nuovi positivi. E scopriremm­o che erano 229, molte meno di oggi. Un dato suggestivo e preoccupan­te, anche se non ha alcun valore scientific­o.

Gli unici dati scientific­i sono quelli dell’istituto Superiore di Sanità: che ci dicono che negli ultimi 30 giorni sono emersi

56.728 casi di coronaviru­s, 1834 sanitari si sono ammalati, l’età media dei contagiati è di 42 anni e i morti sono 470.

L’altro dato preoccupan­te è che ci sono molte regioni in Italia che hanno un indice Ri superiore a uno (quante persone contagia un malato, quando è superiore a uno l’epidemia si diffonde, quando è inferiore no): fra queste il Trentino (1,06 con picchi fino a 1,52) Alto Adige (1,12 con dati fino a 1,63) e il Veneto (1,1 con un massimo di 1,29). Ma i dati sono stati aggiornati al 20 settembre). L’Emilia Romagna è a 0,8 con punte a 0,99.

Un altro grafico di Gimbe di sabato segnala la densità del contagio ogni centomila abitanti: la Campania è prima in Italia, la provincia di Bolzano è seconda, la Sardegna è terza, l’Emilia Romagna ottava, la provincia di Trento è nona, il Veneto è tredicesim­o subito dopo la Lombardia.

La matematica è fantastica, ma la verità non è sempre nei numeri che ti piacciono.

Sartori

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