Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
SINDACI ALLA PROVA DEI POTERI
Con un decreto un po’ pasticciato, arrivato in ritardo, cambiato e ricambiato, inviato alla Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione, poi ritirato perché «c’è un errore» e rimandato quaranta minuti dopo senza il soggetto del capoverso principale (per l’appunto quello dei sindaci), dal Governo arriva con la pandemia un riconoscimento a chi guida le città e le regioni e di fatto un’autonomia densa di potere e responsabilità nelle scelte (in questo caso sanitarie).
Arriva naturalmente sulle decisioni più difficili e difficilmente popolari, perché il potere non lo regala nessuno e la storia insegna che o te lo prendi o te lo danno quando scotta. Cosa, quando e quanto chiudere strade, piazze, paesi, quartieri, città per fronteggiare il Covid e rallentare la cavalcata sinistra dei contagi. Quando, come e chi può continuare ad andare a scuola nelle classi, chi entrerà in altro orario, chi dovrà seguire le lezioni da casa. Insomma, un cerino acceso. E infatti i sindaci hanno subito protestato. Il primo altolà lo ha detto a Conte il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, che assisteva alla conferenza stampa. Nessuno del 4.000 sindaci, dice, è stato consultato. Conte allora assicura che sarà cambiato. E così nella versione stampata scompare il soggetto nella frase incriminata. Restano solo il verbo e il complemento oggetto: «Nelle strade o piazze nei centri urbani dove si possono creare situazioni di assembramento può essere disposta la chiusura al pubblico». Chi? Boh. Ma i sindaci hanno già il potere di chiudere strade o piazze nelle loro città o paesi, come i governatori hanno quello di istituire zone rosse. Come hanno fatto una manciata di giorni fa Virginio Merola con piazza Verdi a Bologna e, nei giorni della prima ondata del virus, Stefano Bonaccini a
Medicina. O il governatore di Bolzano Arno Kompatscher che segue una sua strada: proprio lui che dopo il lockdown per primo firmò la riapertura di bar e ristoranti in questi giorni ha istituito due zone rosse a Sesto e Monguelfo, ha disposto la sospensione per i ragazzi che vanno a scuola senza mascherina, ha deciso che la provincia si farà carico delle rette dell’asilo in caso di chiusura per quarantena. Il cerino di sindaci e governatori è soprattutto una opportunità per questo Paese dove non si sa mai chi decide (se esiste) e comunque poi arriverà un Tar, come nel gioco del Monopoli, a riportarti nella casella iniziale. Alessandro Russello su questo giornale ricordava pochi giorni fa il labirinto del potere italiano, da quale tutti escono sempre vincitori, tutti rivendicano di poter decidere, tutti trattano, tutti si lamentano che decidono sempre gli altri, tutti sono sempre salvi e innocenti. Ma domenica di fatto il Governo ha fatto un passo indietro. Nella migliore delle ipotesi perché questo Covid richiede oggi una politica locale più che nazionale. Individuazione dei cluster, protezione dai possibili contagi, gestione dei momenti critici (trasporti, movida, scuole). Nella peggiore perché è un governo debole e diviso. Ma non importa infine il perché. I sindaci decidano, poi bussino alla prefettura per concordare i controlli. La prefettura rappresenta il governo nelle città. Chiedano quel che serve a far rispettare le loro scelte. Carabinieri, poliziotti, l’esercito. E denuncino con forza se saranno abbandonati. I cittadini capiranno. Ma non perdoneranno un passo indietro di sindaci e
governatori. Stiamo andando pericolosamente verso una guerra fra generazioni. I giovani, che si contagiano ma guariscono (quando non sono asintomatici) non capiranno mai il rischio che corrono i loro genitori e i loro nonni. E genitori e nonni, che stanno chiusi in casa, guardano con terrore i loro figli che tornano in bus da scuola o la sera a casa dalla movida. Serve una politica che ci riunisca. E la può fare bene chi è più vicino.