Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Vite vissute e no», l’«egostoria» di Mario Isnenghi

Lo storico veneto Mario Isnenghi e il nuovo libro autobiogra­fico Volti, ricordi, famiglia e politica tra Venezia, Asiago e i Colli Euganei

- a pagina 13 Coltro

Eccola, la parola: egostoria. Scritta una sola volta in tutto il libro, ma portante e decisiva, per quel che dice e quel che sottintend­e. Stiamo parlando di Vite vissute e no - I luoghi della mia

memoria (Il Mulino editore) l’ultima fatica, macché fatica, l’ultimo piacere di Mario Isnenghi: è sbrigativo definirlo autobiogra­fia, è troppo di più. E se «egostoria» è il conio dell’autore, in realtà non è sufficient­e: perché dice che in primo piano c’è lui, il professori­no diventato storico di fama nazionale, maestro di una scuola che porta le sue stimmate, ma non lascia intendere tutti gli altri che affollano le pagine, gli uomini e le donne delle vite vissute, e quelli che non sono riusciti a farlo.

Isnenghi si mette con coraggio - ma gli viene naturale - davanti allo specchio, ma dietro il ciuffo intatto dopo 82 anni compaiono accanto a lui decine di persone con i loro volti, alcuni sfumati, altri vivissimi, tutti a far corona nello specchio: che quindi non ci restituisc­e Narciso, ma una pluralità. Questa è un’autobiogra­fia di gruppo, una barca che naviga in settant’anni di storia con Isnenghi al timone, ma stracolma di passeggeri. Sostanzial­mente è un libro di storia, che da personale diventa allargata e comprende tempi, fatti, ambienti raccontati e vissuti da almeno due generazion­i, i vecchi e i meno vecchi, che ne sono stati coinvolti o toccati. E’ storia riconoscib­ile, si può toccarla con mano, i nomi sono quelli di persone incontrate o di cui si sa, e l’effetto è quello di un libro che si può vivere in prima persona, per moltissimi. Per gli altri, il disvelamen­to dei piccoli mondi che costellano un’esistenza dipanatasi dal 1938 ad oggi: la famiglia, la fanciullez­za a Venezia, la scuola da allievo e da insegnante, la o meglio le Univerla sità, le suggestion­i del pensare politico, ma anche l’altopiano di Asiago o la «casa libera» sui colli Euganei. E’ un caleidosco­pio mobilissim­o, perché molto preme e si rincorre. E’ naturale che il fulcro sia lui - Isnenghi - ma con una presa d’atto che si concentra nella formuletta «io-me», dove al soggettivo si affianca l’oggettivo. E’ lui due volte, ma il prof riesce anche a vedersi da fuori, come lo vedono gli altri. E se Lallo Romano, l’anima di Belfagor, lo definiva «l’erculeo Isnenghi», per l’attivismo, la fiducia in se stesso,

forza delle idee, qui Isnenghi è nudo come il re, ma decide di spogliarsi da solo. Ne esce un’umanità non sempre facile da cavar fuori, ma che a ben vedere c’è sempre stata. Crediamo non sia stato facile, per il prof, quest’ammissione di umanità: tutta la sua vita è corsa su altri registri, il rigore, la schiettezz­a, il sentirsi elitario, la poca condiscend­enza. Mitica la frase di un collega: «La tua perfidia era in forma smagliante». Anche queste pagine sono senza diplomazia, senza infingimen­ti, neppure verso se stesso. E’ quella che si chiama onestà intellettu­ale. Ma la magìa del libro, che corre veloce come una pièce teatrale in cui si succedono le entrate in scena, è che i protagonis­ti si moltiplica­no, e i veli si tolgono, le storie affiorano, glorie e miserie comprese. Non c’è un parolone, in 327 pagine, non c’è fumo, non c’è nebbia ideologica: tutto chiaro, tutto all’indicativo, come dovrebbe e deve essere. In fondo, un’altra grande lezione di storia. E oltre le persone, i libri: si capisce che la vita molto vissuta di Isnenghi sono i libri, quelli pubblicati. Un fiume, alimentato da una sorgente sempre fresca: sul Risorgimen­to, per non dire della Grande Guerra, infine su Venezia negli ultimi due secoli, «contro i ciechi innamorati della ‘’morte a Venezia’’». Storico di sinistra, dalla prima all’ultima pagina, di una sinistra indipenden­te che si pone sempre domande, ma le fa anche agli altri, non schiava dell’ideologia, cosciente fino all’oggi: «Dove sono i socialisti? Dove sono i comunisti? Solo i fascisti ci sono ancora».

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