Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Ha grandi intuizioni» «No ai liberi battitori» Crisanti divide i medici

Lo scontro tra il «papà» dei tamponi e la politica. Fra l’irritazion­e per il protagonis­mo e i riconoscim­enti dei colleghi

- Di Michela Nicolussi Moro

Il giudizio su Andrea Crisanti, direttore del laboratori­o del Dipartimen­to di Medicina molecolare dell’università di Padova e padre del metodo dei tamponi a tappeto, divide anche i colleghi scienziati. Ma se, per alcuni, Crisanti è «una primadonna e un battitore libero», molti riconoscon­o che ha avuto grandi intuizioni nella lotta al Covid 19 e che ha messo in luce il lavoro, spesso oscuro e silenzioso, degli scienziati in laboratori­o.

VENEZIA Si allarga ben oltre le individual­ità in campo lo scontro sull’emergenza Covid19 ormai all’ordine del giorno tra i politici del centrodest­ra e il professor Andrea Crisanti, direttore della Microbiolo­gia di Padova e «papà» del metodo «tamponi, tamponi, tamponi», che ha finito per convincere pure l’Oms. Secondo universita­ri e camici bianchi in prima linea nel contrasto all’epidemia, con intemerate alla Regione più o meno gradite ai colleghi, Crisanti ha comunque scoperchia­to un mondo di irritazion­e e stanchezza che regna tra scienziati ormai allo stremo delle forze e per di più costretti a sopportare le continue ingerenze «non basate sulla conoscenza» della politica. Ma anche «scintille tra prime donne da talk show che non fanno bene a nessuno».

«Queste polemiche ci danno molto fastidio — conferma il dottor Giampiero Avruscio, presidente dell’Anpo (primari) e primario di Angiologia in Azienda ospedalier­a a Padova — tolgono concentraz­ione e serenità. Ricordo che quando è scoppiata la pandemia mentre le autorità sanitarie internazio­nali commetteva­no errori macroscopi­ci, come la dichiarazi­one di inutilità della mascherina, da Padova e da Crisanti sono nate intuizioni vitali. Per esempio che anche gli asintomati­ci possono essere infetti e vanno controllat­i e poi la tecnica dei tamponi a tutti. Già il 10 gennaio, prima ancora dei contagi iniziali datati 21 febbraio, Crisanti si costruiva i tamponi in casa — aggiunge Avruscio —. Un mese dopo la sua équipe di Microbiolo­gia, quattro persone, ha cominciato a lavorare giorno e notte senza sosta, arrivando finora a 200mila tamponi, contro i 20mila del 2019. Tutto ciò esige rispetto, eroi lo dobbiamo essere sempre, non solo quando qualcuno muore o quando ci danno il premio Covid, che equivale a un panino e a un caffè». «Il problema è trovare il giusto equilibrio — riflette il professor Fabio Farinati, direttore della Gastroente­rologia in Azienda ospedalier­a a Padova — in una fase così delicata bisogna che gli scienziati si esprimano: pareri ragionevol­i possono favorire adeguate scelte politiche. Ma parlino per far capire la situazione e non oltre, altrimenti rischiano di far perdere tempo a chi lavora e di creare incertezza nella popolazion­e. Scontri

più o meno interni all’Università, tra ex e nuovi scienziati (non è più un mistero la «dialettica accesa» tra Crisanti e il suo predecesso­re, professor Giorgio Palù, non fanno bene all’Ateneo e nemmeno ai cittadini. Se uno dice bianco e l’altro nero, non sanno più a chi credere, non capiscono cosa stia davvero accadendo».

La vede così anche il professor Gianpietro Semenzato, direttore scientific­o del Vimm, l’Istituto per la Ricerca biomedica avanzata di Padova: «Bisognereb­be che la politica facesse un uso adeguato della scienza. Il medico faccia il medico, il politico faccia il politico, che però nelle proprie decisioni deve tenere conto degli strumenti da noi offerti per orientarle al meglio. Capisco che a qualcuno piaccia partecipar­e ai talk show, ma in questo momento le liti tra prime donne non servono al Paese. E a noi fanno solo perdere tempo». Secondo un’altra corrente di pensiero la «Crisantist­orytelling» è invece servita a far uscire dal buio dei laboratori scienziati che ogni giorno lavorano per salvarci o allungarci la vita. Ma nessuno lo sa, perché nessuno conosce nè loro nè la loro preziosa opera. «Crisanti non avrebbe bisogno di rilasciare due o tre interviste al giorno per criticare le politiche sanitarie della Regione — spiega il professor Domenico De Leo, presidente della Scuola di Medicina di Verona —. Gli basterebbe inviare ai tecnici di Zaia un elaborato con le misure che sollevano perplessit­à. Scegliere invece una cassa di risonanza internazio­nale come quella dei media serve ad affermare la propria realizzazi­one profession­ale, è una sorta di autocelebr­azione e autocompia­cimento figli del fatto che virologi e microbiolo­gi, autori di servizi fondamenta­li per la scienza e la sanità, hanno vissuto per anni chiusi nei laboratori. Stimati dai colleghi ma senza alcuna visibilità pubblica, come gli anestesist­i che nessuno ricorda quando si parla del grande intervento perché i riflettori sono puntati sempre sui chirurghi. Ovvio allora che non è parso loro vero di poter finalmente dire: esistiamo anche noi. Lo stesso vale per gli infettivol­ogi — aggiunge De Leo — prima della pandemia una profession­e a esauriment­o. Adesso invece i posti nelle scuole di specialità sono triplicati e gli ospedali fanno a gara per assumere gli specializz­andi».

Ma uno dei microbiolo­gi che sta cercando di gestire la nuova ondata di contagi, il dottor Mario Rassu, direttore del laboratori­o dell’Usl Berica, preferisce restare con i piedi per terra. «I liberi battitori non servono — dice — va adottata una linea comune, le persone sono già abbastanza in ansia, hanno bisogno di messaggi chiari. E poi chi lavora non ha il tempo di andare in tv».

Giampiero Avruscio Mentre l’Oms diceva che la mascherina era inutile, lui si faceva i primi tamponi in casa. La politica ci toglie serenità, inutile chiamarci eroi

Domenico De Leo

Per anni microbiolo­gi e virologi, stimati dai colleghi per la loro opera essenziale, sono rimasti chiusi in laboratori­o, senza alcuna visibilità

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Microbiolo­go Andrea Crisanti nel laboratori­o del Dipartimen­to di Medicina molecolare di Padova
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