Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il bimbo e le due madri, la Consulta «Servono norme»
Venezia, coppia contro il rifiuto del Comune di indicare entrambe come genitori. «Per lo Stato non esisto»
La battaglia di una coppia gay per essere riconosciute entrambe mamme del bimbo. La Corte costituzionale: intervenga il Parlamento.
VENEZIA «Secondo lo Stato, per mio figlio valgo zero: io non esisto». Silvia è sconfortata anche se, in qualche modo, la sua potrebbe essere vista come una mezza vittoria. Questa veneziana di 42 anni, che di lavoro fa la maestra d’ascia e costruisce gondole, è riuscita a portare fino alla Corte costituzionale la battaglia per il riconoscimento del diritto a essere al contempo mamma (non biologica) e omosessuale. Una decisione che il caso ha voluto arrivasse ieri, proprio nel giorno in cui papa Francesco si è detto «favorevole alle unioni civili per le coppie gay».
Un passo indietro: nel 2017 Silvia si era unita civilmente ad Alberta, fisioterapista pure lei veneziana che, di lì a poco, avrebbe dato alla luce il loro bambino. Una nascita avvenuta grazie alla procreazione medicalmente assistita (e un donatore anonimo) eseguita in una clinica di Copenaghen. I problemi sono iniziati quando il Comune di Venezia si è rifiutato di indicare il nome di entrambe nello stato civile del piccolo, limitandosi a inserire quello della partoriente. «All’Anagrafe erano dispiaciuti – spiegò Silvia all’epoca - ma ci hanno detto che non potevano farci nulla: la legge parla chiaro. Il risultato è che devo girare con in tasca una delega firmata da mia moglie che mi autorizza, in caso di necessità, a prendermi cura di nostro figlio».
A quel punto la coppia aveva due alternative: o Silvia si appellava al tribunale per i minori per ottenere l’adozione del piccolo, oppure andava alla radice del problema dichiarando guerra alle norme attuali. La coppia si è quindi rivolta all’avvocato Patrizia Fiore che, con la collaborazione dei legali Valentina Pizzol e Umberto Saracco, ha promosso una causa chiedendo al giudice di ordinare all’Ufficio anagrafe la rettifica dell’atto di nascita, inserendo il nome di entrambe le donne.
Nella primavera dello scorso anno, la svolta: prima della sentenza, il tribunale di Venezia ha deciso di rimettere nelle mani della Consulta i dubbi di legittimità della legge Cirinnà che riconosce le coppie di fatto ma non regolamenta l’iscrizione anagrafica dei piccoli nati da queste unioni. La tesi è che in questo modo, non si «realizza il diritto fondamentale alla genitorialità dell’individuo» previsto dall’articolo 2 della Costituzione, diritto - scrivevano i giudici veneziani - «inteso come aspirazione giuridicamente qualificata a mettere al mondo e crescere dei figli, avendo costituito un legame di coppia formalizzato». Insomma, la Cirinnà sarebbe parzialmente incostituzionale perché - paradossalmente - discrimina i gay.
Ieri la Corte si è espressa. In attesa di entrare nel merito, i giudici hanno dichiarato «inammissibile» il quesito per un motivo che suona come un monito alla politica: «Il riconoscimento dello status di genitore alla cosiddetta madre intenzionale - all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente - comporta una scelta di così alta discrezionalità da essere riservata al legislatore, quale interprete del sentire della collettività nazionale». Deve essere il parlamento, quindi, a fissare nuove regole «tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale in un determinato momento storico». L’alternativa alle cause di adozione da parte del genitore gay - suggerisce la Consulta «può essere assicurata attraverso varie soluzioni, tutte compatibili con la Costituzione».
La causa delle due veneziane torna quindi in tribunale che potrebbe respingere la richiesta. «A quel punto - racconta Silvia - non potrò far altro che avviare una causa per ottenere l’adozione del mio bimbo. Anche se lui mi ha sempre chiamata “mamma”».
L’avvocato Fiore allarga le braccia: «Poteva essere l’occasione per assicurare ai gay un diritto analogo a quello delle coppie etero. Speriamo che la politica accolga lo stimolo della Consulta e faccia in modo che le leggi siano effettivamente al passo con il comune sentire che è ampiamente favorevole al riconoscimento dei diritti dei bimbi nati all’interno di famiglie omosessuali».