Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
IL VIRUS E LE TANTE VITTIME
Il 2020 si sta chiudendo e già si può tracciare un bilancio di questo che davvero è stato un annus horribilis segnato dalla pandemia, una parola finora usata solo dagli specialisti di salute pubblica. Un anno orribile – senza attenuante alcuna soprattutto perché carico di vittime. Di vario tipo. Certo, al primo posto vanno messi tutti coloro che la vita l’hanno letteralmente persa, stroncati da un virus crudele quanto imprevedibile (ed imprevisto). Un virus che ha fatto schizzare all’insù il numero dei decessi rispetto agli anni passati del 9% in Italia, con punte – nel nordest – del 17 in Trentino e del 14 in Emilia. Per non parlare di tante morti in totale solitudine che hanno rivelato quanto il morire si sia rivelato inumano e non «addomesticato» come ottimisticamente qualcuno pensava. E poi ci sono le altre vittime, quelle che l’ultimo Rapporto del Censis sottolinea riscoprendo una semplice verità che la pandemia ha infiammato: e cioè che c’è l’Italia dei garantiti e quella dei non garantiti. Questi ultimi, ovviamente, sono le ulteriori vittime regalateci dal 2020. Il Censis le colloca nel «settore privato senza casematte protettive», composto da quel 54% di occupati nelle piccole imprese che vivono una strisciante insicurezza lavorativa.
Acui devono aggiungersi tutti quelli a tempo determinato che hanno visto evaporare il rinnovo del loro contratto. C’è inoltre, dice il Censis, «l’universo degli scomparsi», il grande mondo dei lavoretti, del lavoro casuale, in nero, un universo di ben 5 milioni di persone cancellate in silenzio dall’anagrafe delle attività. E non è finita, perché poi ci sono «i vulnerati inattesi»: i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti a corto di incassi e di fatturati, in una apnea finanziaria (e psicologica) che fa sì che per 40 lavoratori autonomi su cento i loro figli scendono o scenderanno di molti scalini nella scala sociale, divenendo operai o semplice terziario non qualificato. E se anche i vaccini cancellassero un po’ miracolisticamente la presenza del virus, le scorie della pandemia inquinerebbero non solo il prossimo anno, ma un futuro più lungo. Perché sarà un futuro ipotecato dal debito pubblico colossale, dalla caduta delle nascite, da una adolescenza con la scuola a singhiozzo, dalle patologie oncologiche e cardiocircolatorie oggi trascurate, dalle disuguaglianze e da quel capitale di rancori sociali accumulati che non si sa cosa potrebbero generare. Se la pandemia ha – si spera – i mesi contati, del dopo virus non ce ne libereremo presto. E nemmeno facilmente, dato che i vaccini potranno inibire il virus, ma sappiamo non ci sono vaccini a portata di mano per evitare i tantissimi problemi del dopo virus.