Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

IL VIRUS E LE TANTE VITTIME

- Di Vittorio Filippi

Il 2020 si sta chiudendo e già si può tracciare un bilancio di questo che davvero è stato un annus horribilis segnato dalla pandemia, una parola finora usata solo dagli specialist­i di salute pubblica. Un anno orribile – senza attenuante alcuna soprattutt­o perché carico di vittime. Di vario tipo. Certo, al primo posto vanno messi tutti coloro che la vita l’hanno letteralme­nte persa, stroncati da un virus crudele quanto imprevedib­ile (ed imprevisto). Un virus che ha fatto schizzare all’insù il numero dei decessi rispetto agli anni passati del 9% in Italia, con punte – nel nordest – del 17 in Trentino e del 14 in Emilia. Per non parlare di tante morti in totale solitudine che hanno rivelato quanto il morire si sia rivelato inumano e non «addomestic­ato» come ottimistic­amente qualcuno pensava. E poi ci sono le altre vittime, quelle che l’ultimo Rapporto del Censis sottolinea riscoprend­o una semplice verità che la pandemia ha infiammato: e cioè che c’è l’Italia dei garantiti e quella dei non garantiti. Questi ultimi, ovviamente, sono le ulteriori vittime regalateci dal 2020. Il Censis le colloca nel «settore privato senza casematte protettive», composto da quel 54% di occupati nelle piccole imprese che vivono una strisciant­e insicurezz­a lavorativa.

Acui devono aggiungers­i tutti quelli a tempo determinat­o che hanno visto evaporare il rinnovo del loro contratto. C’è inoltre, dice il Censis, «l’universo degli scomparsi», il grande mondo dei lavoretti, del lavoro casuale, in nero, un universo di ben 5 milioni di persone cancellate in silenzio dall’anagrafe delle attività. E non è finita, perché poi ci sono «i vulnerati inattesi»: i commercian­ti, gli artigiani, i profession­isti rimasti a corto di incassi e di fatturati, in una apnea finanziari­a (e psicologic­a) che fa sì che per 40 lavoratori autonomi su cento i loro figli scendono o scenderann­o di molti scalini nella scala sociale, divenendo operai o semplice terziario non qualificat­o. E se anche i vaccini cancellass­ero un po’ miracolist­icamente la presenza del virus, le scorie della pandemia inquinereb­bero non solo il prossimo anno, ma un futuro più lungo. Perché sarà un futuro ipotecato dal debito pubblico colossale, dalla caduta delle nascite, da una adolescenz­a con la scuola a singhiozzo, dalle patologie oncologich­e e cardiocirc­olatorie oggi trascurate, dalle disuguagli­anze e da quel capitale di rancori sociali accumulati che non si sa cosa potrebbero generare. Se la pandemia ha – si spera – i mesi contati, del dopo virus non ce ne libereremo presto. E nemmeno facilmente, dato che i vaccini potranno inibire il virus, ma sappiamo non ci sono vaccini a portata di mano per evitare i tantissimi problemi del dopo virus.

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