Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Francioso e il disco
Chitarra e archi nel nuovo lavoro «Sea» del compositore padovano «Racconto il rumore del mare»
Una chitarra acustica con un’orchestra di archi per raccontare l’emozione del mare. Esce domani su tutte le piattaforme streaming e digital download Sea (Strings Evocative Arrangements), il nuovo album del compositore e chitarrista acustico padovano Luca Francioso.
Un’opera musicale che nasce dalla collaborazione tra l’artista, il compositore di musica per orchestra Paolo Pandolfo, e l’ingegnere del suono Cristiano Zatta, che ha prodotto il disco registrato nello studio di Albignasego San Giacomo - Spazio d’Arte.
Luca Francioso, come si fa a raccontare il mare con la musica?
«La fisica acustica fa una distinzione ben precisa tra rumore e suono, a me invece piace pensare che non ci sia alcuna differenza. Il rumore del mare per me è un suono, per cui il mare è già musica. Che si parli di “onda” sonora poi per riferirsi alla propagazione del suono la trovo una meravigliosa simmetria. Sono nato e vissuto a un passo dal mare fino all’età di tredici anni (a Bagnara Calabra, in provincia di Reggio Calabria) e lo scrosciare delle onde è stato il sottofondo della mia infanzia, giorno e notte. Farne una melodia organizzata e intellegibile è una decodifica complicatissima e non ne saprei spiegare il processo, ma ogni volta che penso al mare, sia come elemento fisico sia come immagine di forza e mistero, le note nascono quasi da sole sulla tastiera della mia chitarra».
«Sea» si può considerare un concept album?
«Tutti i brani sono legati al mare. Dietro ogni melodia esiste una storia che in qualche modo, direttamente o indirettamente, ha a che fare con il mare, anche quelle dal titolo apparentemente più distante (penso, ad esempio, al brano Land). Il mare è lo scenario comune di ogni trama musicale dell’album, che trova compimento nel nome dell’intero progetto, ovvero Sea, il cui acronimo (Strings Evocative Arrangements) ne svela l’intenzione: servirsi delle corde di chitarra e archi per
raccontare storie il più evocative possibili».
Nella composizione che parte ha l’emozione e che parte ha la tecnica?
«Ho sempre vissuto l’aspetto tecnico dello strumento con sobrietà e con un certo distacco. Ritengo che a vincere debba essere sempre la musica e che la tecnica sia semplicemente un mezzo straordinario perché questa possa accadere. Non ritengo importante la quantità delle nozioni accumulate, quanto la qualità del proprio potenziale e la capacità dinamica di servirsene. L’efficacia narrativa di una trama musicale non si misura, a mio avviso, dalla sua difficoltà esecutiva, ma dall’emotività che è in grado di suscitare. Questo è l’approccio con cui compongo, sempre».
Che cosa offre di più un’orchestra d’archi al suono della sua chitarra acustica?
«Erano anni che sognavo di realizzare un disco con l’orchestra. Sognando in grande (chi non lo fa?), ho sempre immaginato una compagine orchestrale enorme, sulla quale tessere melodie con la mia chitarra acustica. I suoni lunghi, caldi e avvolgenti degli archi sono come la superficie del mare, sulla quale puoi galleggiare a lungo. Suonare con un’orchestra mi sostiene, mi accompagna e valorizza ogni mio suono».
Il mare che cosa rappresenta per lei?
«Dopo il trasferimento in Veneto mi sono dovuto abituare a un’idea diversa di mare e per alcuni anni della mia vita è tornato a essere un semplice elemento naturale. Lentamente però, anche attraverso la musica, ne ho ritrovato mistero e forza e sono tornato a viverlo come facevo un tempo».