Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il Covid e un’odissea lunga venti mesi «Ai no vax dico: venite alle mie visite»

Molon è tra gli 89 mila vicentini contagiati. Racconta della salute svanita e della burocrazia

- Mauro Della Valle

VICENZA Quasi 89 mila vicentini, circa 0uno su dieci, si è ammalato di Covid da inizio pandemia (7.400 quelli positivi ad oggi). Tra questi Gianluca Molon, magazzinie­re di Arzignano, un ricovero che nella primavera 2020 pareva non finire mai (86 giorni), ma soprattutt­o ancor oggi la vita stravolta dopo il virus. Che racconta (a fatica).

«Lei è il riassunto vivente di tutti gli strascichi e delle problemati­che che può lasciare in eredità il Covid». Sentirsi dire questa frase da un medico non mette di certo il buonumore, eppure Molon non si è mai perso d’animo, nemmeno quando la sua vita sembrava giunta al termine. Era il 24 di aprile 2020, in piena «prima ondata» e la moglie Loretta, sentito che la situazione era ormai al limite, decise di chiedere al personale della Terapia intensiva del San Bortolo di Vicenza di contattare il marito con una video chiamata per dirgli che lei e il figlio Enrico di 21 anni stavano bene. Molon fino al 18 marzo di quel terribile 2020, quando sono apparsi i primi sintomi del Covid, era un uomo sano di 53 anni, magazzinie­re alla Corichem di Sarego, mai nessun serio problema di salute. Quel giorno, la mancanza improvvisa di respiro, una cosa mai provata prima, lo ha indotto a precipitar­si al Pronto soccorso di Arzignano. Il giorno successivo i medici lo hanno trasferito a Vicenza, dove dopo poche ore è stato intubato. Per quasi una decina di giorni Molon ha respirato grazie a delle macchine. Il 27 marzo, il primo tentativo di estubazion­e. A sostenere la fatica dei suoi polmoni giunge in aiuto l’ormai tristement­e famoso casco Cpap, che consente una ventilazio­ne non invasiva, un aiuto agli alveoli polmonari per aprirsi e lavorare meglio. Uno spiraglio di luce durato poco: i polmoni non ce la fanno e i medici sono costretti ad intubarlo nuovamente per un’altra decina di giorni, fino al 9 aprile quando si ricorre alla tracheosto­mia, l’incisione chirurgica della trachea per aprire una via respirator­ia alternativ­a a quella naturale. Un viaggio nell’abisso, quello di Molon. Il corpo è martoriato, quasi flagellato da ogni tipo di ago e cannule, i muscoli non rispondono più ai comandi, le tac ai polmoni continuano ad esprimere da giorni lo stesso verdetto. È giunto il momento di quella videochiam­ata chiesta dalla moglie, che tantissimi operatori sanitari in quel tragico periodo hanno dovuto sostenere e condivider­e psicologic­amente, moralmente ed eticamente con i loro pazienti. Si accende la luce dell’iPad: «Non so nemmeno dov’ero – confessa oggi Molon – ma ho sentito la voce di Loretta e di Enrico, le due luci che assieme a quella che voglio pensare fosse di mio padre, continuavo a “vedere” mentre ero intubato». I polmoni non erano in grado di espletare la loro funzione, ma il cervello e il cuore evidenteme­nte sì. L’impulso di quella videochiam­ata è stato una sorta di elettrocho­c che ha permesso a Molon di continuare a lottare. Tre mesi dopo il ricovero, il 12 giugno 2020, le dimissioni: Molon può nuovamente respirare l’aria esterna. Una lunga odissea, che dopo i primi agognati giorni di felicità vissuti con la famiglia ha lasciato spazio ad una via crucis, sanitaria e burocratic­a. Dal punto di vista della salute, l’eredità del Covid, quello che i medici definiscon­o «Long Covid», per Molon e la moglie è un percorso tutt’ora in salita. «La stenosi tracheale – racconta – non mi consente di respirare pienamente. Mi basta uno starnuto perché la trachea si chiuda al 75%. La fibrosi polmonare sinistra, ovvero le cicatrici permanenti lasciate dal Covid, fanno il resto. Ho una sorta di stanchezza cronica che limita tutti i miei movimenti, già rallentati dall’indolenzim­ento dei muscoli, che faticano a riprendere il loro tono, nonostante 40 sedute di fisioterap­ia. A questo aggiungiam­o i problemi al piede destro a causa di un inspiegabi­le problema irreversib­ile ad un nervo. Inoltre, com’è successo a tanti altri pazienti Covid, da settembre è scoppiato il dolorosiss­imo Fuoco di Sant’Antonio, dovuto al crollo delle difese immunitari­e, nonostante le tante vitamine che sto assumendo». A queste e altre difficoltà, come gli incubi notturni e l’annebbiame­nto mentale, tipico dei casi Long Covid, che ha costretto la famiglia Molon ad un tour in diversi ospedali, si sono aggiunte anche quelle di carattere burocratic­o. «Abbiamo usufruito solo recentemen­te e grazie allo Stato – spiega la moglie -di alcune esenzioni per l’acquisto di medicinali che alcune Regioni hanno concesso fin dal luglio 2020, cosa che non ha fatto la Regione Veneto che abbiamo più volte interpella­to, senza ottenere risposte, così come non ne abbiamo avute da Inail e Inps. Dobbiamo ringraziar­e il dottor Giorgio Gentilin, che ci ha seguito dopo le dimissioni, e Pierluigi Braggion, il titolare dell’azienda dove ancora è impiegato mio marito, che non ci ha mai abbandonat­o». Infine Molon , che sta per ricevere la terza dose del vaccino, si rivolge ai no vax : «Sento tanti medici e infermieri che li invitano a entrare nei reparti Covid. Io gli chiederei solo di accompagna­rmi ad una delle tante visite alle quali mensilment­e mi devo sottoporre».

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Gianluca Molon, 54 anni, con la moglie Loretta e con il sindaco di Arzignano Alessia Bevilacqua il giorno del rientro a casa
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12 giugno 2020

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