Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Per Venetwork altre 5 acquisizioni Urgente far crescere i nuovi settori»
Baban: «Iniziato un nuovo ciclo, necessario anticipare gli acquisti stranieri»
VENEZIA Entro la prima metà del 2022 Venetwork avrà chiuso cinque nuove acquisizioni. Dato che segna un’evidente accelerazione, se si considera che fino ad oggi, a dieci anni dalla nascita, la rete di imprenditori-investitori veneti guidata da Alberto Baban, ha chiuso 12 dossier, non andando oltre i due-tre l’anno.
Lo annuncia lo stesso fondatore parlando della prossima stagione come di un «punto di svolta» e non escludendo che, nel volgere dei prossimi dodici mesi, lo stock di acquisti possa arrivare a 20, senza tener conto degli eventuali investimenti indiretti su iniziativa di singole controllate. Per intenderci, di operazioni come quella con cui Fantic ha integrato la scorsa primavera la bolognese Motori Minarelli, rilevandola da Yamaha. «Ci troviamo in un momento straordinario: il Veneto crescerà quest’anno di sei punti percentuali in termini di Pil. Quando iniziano nuovi cicli la parola d’ordine è riposizionamento: scegliere la via della resistenza significa andare verso un punto di rottura».
Presidente, la crescita di Venetwork letta così pare quasi obbligata. Perché è così urgente ampliare il portato foglio delle controllate?
«Proviamo a essere un po’ analitici. Ci sono aziende che in questo momento stanno brindando, perché ricevono ordini in misura quasi incomprensibile, senza aver inventato chissà che di nuovo e senza aver cercato nuovi sbocchi. Semplicemente stanno facendo il prodotto giusto nel momento giusto e il mercato sta esplodendo loro in mano. Oggi si tratta di manifattura, domani potrebbero facilmente essere settori tecnologici ad altissima innovazione. Molti di questi imprenditori si trovano in tale situazione in maniera inattesa. Crediamo ci sia la necessità di sostenerli e farli diventare più grandi. Vista anche la grandissima disponibilità di capitali liquidi che c’è in giro».
Altrimenti che succede? «C’è il rischio che il successo di questi operatori si smonti rapidamente, perché da soli non possono farcela. O quello di esser assorbiti da investitori di altre parti del mondo e con intenzioni diverse dalle nostre».
Venetwork, in sostanza, è una rete squisitamente nordedestina e non lavora come un fondo di Private Equity.
«Venetwork oggi ha 62 soci con interessi locali e rappresentano come non mai caratteristiche di forte radicamenin questa parte del Paese. Un fondo di investimento invece deve far girare i capitali il più possibile, comprare e vendere in tempi che diventano un motivo di stress nelle aziende in cui entrano, dove assistiamo ad avvicendamenti di titolari con velocità atipiche. A volte questo fa bene a volte no».
Veniamo ad alcuni numeri. Che business sviluppa oggi Venetwork?
« Quest’anno il fatturato consolidato delle 12 imprese della rete planerà sui 230 milioni contro i 180 di fine 2020. Tutte insieme impiegano 600 addetti, il che non è affatto poco. Ma, ripeto: abbiamo la necessità di crescere ancora».
A proposito di investimenti stranieri in Italia, con le conseguenze che stiamo osservando in questi giorni, c’è il caso di Speedline. Sarebbe diverso se la proprietà fosse italiana?
«Speedline è un episodio vistoso, ma occorre essere onesti e riconoscere che non è affatto sorprendente. Le tensioni sulle materie prime ci stanno dimostrando come sia importante accorciare il più possibile le filiere; e se Speedline ritiene che questo possa avvenire trasferendo l’intero stabilimento in Polonia, tanti altri argomenti diventano secondari. Non possiamo nemmeno più parlare di delocalizzazioni: sono autentiche migrazioni, strutture produttive che si muovono tout court da una parte all’altra del mondo. Per non parlare della crisi di tanta parte del manifatturiero connessa alla indisponibilità di forza lavoro, fra poco chi sappia tenere in mano un cannello da saldatura sarà retribuito come un dirigente. Se posso tentare una profezia credo che il 2022 sarà l’anno in cui vedremo una fabbrica abbandonare il nostro Paese perché qui non trova la manodopera di cui ha bisogno».
"Tanti imprenditori si trovano a cavalcare gli ordini Vanno aiutati a diventare più grandi
Le delocalizzazioni rischiano di diventare migrazioni di aziende E noi non abbiamo più manodopera