Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il doge delle grandi opere
A lui si devono anche il Fondaco dei Tedeschi, le Procuratie Vecchie, San Sebastiano, le fabbriche di Rialto Cinquecento anni fa moriva Leonardo Loredan: architettura e propaganda
Cinquecento anni fa moriva Leonardo Loredan, 75esimo doge della Serenissima, ritratto frontalmente da Giovanni Bellini in abiti da cerimonia a 65 anni. Eletto il 2 ottobre 1501 dovette accettare un’onerosa pace con gli Ottomani e affrontare la Lega di Cambrai che portò la guerra sulla Terraferma (1509-1517). Le giornate di studio a lui dedicate recentemente dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti hanno evidenziato quanto a lui ancora debbano i volti di Padova, Treviso (le porte delle due città) e Venezia, con il Fondaco dei Tedeschi, le Procuratie Vecchie, San Sebastiano, le fabbriche di Rialto e altre realizzate dal proto Scarpagnino, architetture in parte già tradite o convertite a destinazioni ben diverse. Ma il senso della «celebrazione» è chiaro: anche oggi, come ai tempi di Loredan, Venezia ha bisogno di una «renovatio urbis» nel segno di una conservazione corretta e di uno sviluppo di attività nuove e consone.
Sposo di Morosina Giustinian (morta prematuramente, ma dopo cinque figli), eletto a varie cariche nella Dominante, podestà di Padova (1487-89), Loredan vinse l’elezione dogale alla sesta mano del primo scrutinio con 27 voti: il popolo non lo festeggiò. I primi anni del dogado furono costellati di vittorie, con ampliamenti territoriali in Puglia, Romagna, Friuli (grazie alla vittoria contro Massimiliano I d’Austria) e da una rinnovata pace con il sultano Bajazet II (1502-03): «In quegli anni - ha ricordato Giuseppe Gullino - Venezia toccò l’apice della potenza politica ed economica». Ma proprio questo determinò l’alleanza fra Francia, Impero, papato e casati italiani in funzione antiveneziana che portò, nonostante la formazione di un poderoso esercito, alla sconfitta di Agnadello del 14 maggio 1509. Il re di Francia Luigi XII (già conquistatore di Milano) si attestò sulla linea del Mincio; ciononostante la classe politica veneziana fu travolta da uno scoramento collettivo. Le condizioni di salute di Loredan, che dal ’17 aveva già perduto l’uso della parola, precipitarono e morì il 22 giugno 1521. Nove volte batterono le campane a San Marco e il corpo fu imbalsamato. Andrea Navagero lesse la commemorazione funebre a fianco di Pietro Bembo: erano due amici di Raffaello e di Leone X in una Venezia passata da clericale (le chiese sono come «mura della cristianissima Repubblica» si legge nell’appello del 1507 per San Salvador) a anticlericale («I veneziani non pensano mai a Dio», aveva già sentenziato Pio II). Loredan fu sottoposto a un processo dagli Inquisitori sopra il morto, che si risolse nel maggio 1523 con il pagamento di una multa da parte della famiglia.
Ciononostante, a testimonianza di quanto l’architettura e l’arte siano forma di renovatio e anche di propaganda destinate a durare nel tempo, aver affidato il proprio destino a fabbriche importanti e i propri ritratti ai celebri pittori come Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio e Vincenzo Catena rese la sua figura, e la città, immortali. Raffigurazioni del doge Loredan si vedono ancora in luoghi pubblici, sia sui pilieri in bronzo davanti a San Marco sia nei dipinti posti in varie sale di Palazzo Ducale realizzati dopo gli incendi del 1574 e 1577. Nella Sala del Maggior Consiglio sono raffigurati «atti virtuosi» del doge e battaglie vinte dall’esercito veneziano, come quella contro l’Imperatore Massimiliano, che dovevano far dimenticare la disfatta di Agnadello, ricordata, però, nel ritratto del doge di Palma il Giovane nella Sala del Senato. Insomma, arte omnia vincit (se non se la mangiano i turisti).
"L’attualità della «renovatio urbis» Il convegno all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti