Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

L’arabo delCadore

- Di Francesco Chiamulera

L’anno è il 1961. Nella temperie del boom Enrico Mattei tuona in un’intervista sulla Domenica del Corriere: «L’Italia è ricca. C’è lavoro per tutti qui. Ciò che dobbiamo esportare è il nostro lavoro, il nostro ingegno e l’abilità dei nostri tecnici. Il futuro lavora per noi». E si capisce che è allora che le lancette dell’emigrazion­e cominciano a girare in senso opposto, anche se la demografia ci dice che il saldo migratorio si invertirà solo un decennio più tardi. Leggendo la nuova biografia di Leonardo Del Vecchio di Tommaso Ebhardt (Sperling & Kupfer) si scopre che è in quello stesso anno che il ventiseien­ne ex Martinitt formalizza ufficialme­nte, in uno studio notarile di Belluno, Luxottica Sas. Tra allora e l’impero globale di oggi, con centottant­amila dipendenti, c’è una storia che vale le 311 pagine del libro di Ebhardt. Qui ci segniamo qualche dato di paesaggio. L’agordino, il Cadore, il Veneto ancora molto rurale. Cioè la terra di mezzo che sta tra Cortina, città del glamour olimpico, e Milano, vetrina degli affari che attraeva chiunque avesse fame, voglia, talento. Il fioeul milanese descritto da Ebhardt fa la strada opposta, verso il Nordest, e in quel 1961, «quando arriva dopo cinque ore di viaggio sulle rive del Cordevole, Del Vecchio trova solo campi e un passato glorioso». Investe 500.000 lire di allora, l’equivalent­e di 6mila Euro odierni; oggi la sua quota di Essilor Luxottica vale circa 25 miliardi di euro. Nei primi mesi in cui sale tra le Dolomiti per prendere le misure, il giovane Del Vecchio studia, si guarda intorno, vuole imparare: e si racconta che prima di mettere su la fabbrica agordina sia andato a Venas di Cadore, alla Metalflex dei suoi soci, per fare l’apprendist­a e per capire dall’interno i segreti del settore. È allora che il milanese sornione e loquace si guadagna dai locali un nomignolo, che non dice solo della leggendari­a chiusura dei montanari: «l’arabo». Ma in quell’appellativ­o sprezzante c’è qualcosa di più del fastidio caratteria­le per l’urbanità e la gentilezza che sempre in montagna vengono scambiate per doppiezza e falsità. «La sensazione», nota Ebhardt, «è che si sentano ancora traditi: quel giovane arrivato come l’ultimo dei terzisti si è portato tutto in un’altra valle: know-how, clienti, lavoro e benessere». È proprio così. C’è una bella poesia del cadorino Antonio Chiades che parla di partenze e di emigrazion­e, di paesi lasciati indietro, che si chiude così: «qui intanto ogni cosa rimane la stessa: un abbraccio, un breve trionfo, un fischio d’addio». Sessant’anni dopo, nel Cadore che si spopola vertiginos­amente, ci sono paesi e villaggi e contrade dove sembra che Del Vecchio sia partito ieri.

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