Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Cambia tutto per 70 mila addetti «Qui si disperde un patrimonio»

L’automotive e la «dead line» del 2035. Vianello (Texa): «Il mondo va avanti»

- Di Gianni Favero

VENEZIA Forse non è il caso di sorprender­si più di tanto: il termine del 2035 per fermare la commercial­izzazione (e la produzione) delle automobili con motore termico era nell’aria da anni. All’indomani della decisione del parlamento di Strasburgo sulla dead line per il passaggio obbligato alla propulsion­e elettrica, su questo concetto convergono sia il segretario generale della Fiom Cgil del Veneto, Antonio Silvestri, sia un industrial­e che si occupa da sempre di ciò che sta nel «cuore» delle automobili, Bruno Vianello, fondatore e presidente della Texa di Monastier (Treviso).

Le ricadute sul sistema dell’automotive italiano (e veneto), come rimarcato ieri con preoccupaz­ione dal leader di Federmecca­nica, Federico Visentin, senza dubbio ci saranno. Il 2035 viene letto come una data in qualche modo imposta dai grandi investimen­ti affrontati soprattutt­o dalle case automobili­stiche tedesche e questo potrebbe non lasciare abbastanza tempo per adeguarsi ai player nazionali, a cominciare dalle aziende della componenti­stica del Nordest (che delle case tedesche sono fornitrici). Perciò Federmecca­nica ha condiviso con i sindacati un invito al governo di avviare quanto prima un tavolo per definire le politiche industrial­i in questo comparto.

«Non molto tempo fa abbiamo dedicato al tema un’assemblea regionale – ricorda Silvestri di Fiom – dato che l’automotive in Veneto riguarda, nella sola metalmecca­nica, quasi 40 mila addetti. Ma se ci aggiungiam­o anche i chimici e i tessili, categorie coinvolte nella produzione per esempio di cruscotti e fanalerie o dei tessuti per i sedili e gli interni, il numero arriva a 70 mila. È vero che queste componenti delle automobili non dovrebbero cambiare con il mutare della motorizzaz­ione ma è un ragionamen­to miope, se non si tiene conto che entrerà in gioco la grande tendenza già in atto ad accorciare le filiere della fornitura».

Facendo un passo indietro, gli sconvolgim­enti delle reti mondiali della logistica e dei trasporti provocati dalla pandemia hanno spinto l’industria europea a cercare di ridurre il più possibile la distanza tra luoghi di produzione e centri di fornitura. «E lo stesso fenomeno si avrà per produrre le automobili elettriche – prosegue il leader sindacale –, perciò esiste il fondato timore che il patrimonio di competenze italiano, a partire da oggi, emigri progressiv­amente verso i luoghi dove si stanno compiendo i massimi sforzi per essere pronti all’appuntamen­to del 2035. Che non sono in Italia».

Rinviare la scadenza, quindi, avrebbe poco significat­o. «In Francia gli investimen­ti sull’auto elettrica sono nell’ordine dei 4 miliardi, in Germania di 6, altri 9 si prospettan­o per il capitolo dell’idrogeno. Fa sorridere sentire da esponenti del governo italiano – aggiunge Silvestri – che abbiamo bisogno di più tempo, un piano industrial­e da noi dovrebbe esistere da anni. C’è poi anche il rischio di una beffa rispetto ai 3,5 miliardi previsti dal Pnrr per il rinnovo del parco autobus, dato che, non avendo più produttori nazionali, quei soldi andremo a spenderli all’estero».

Non è che quanti si preoccupan­o non abbiano una parte di ragione, riconosce intanto l’imprendito­re Vianello, «perché anche in Veneto produciamo tanti componenti, in particolar­e per il diesel. Non dimentichi­amoci che il “common rail” è una nostra invenzione. Ma quando comparvero le prime automobili, le resistenze maggiori erano legate al fatto che il loro rumore spaventava i cavalli. Oggi a cavallo non viaggia più nessuno. Il mondo va avanti perché avvengono dei cambiament­i ed è vero che il 2035 è una scadenza di cui si parlava da anni, bisogna per forza rimboccars­i le maniche».

Non è detta l’ultima parola, qualche deroga è già stata accolta, come per le produzioni di nicchia delle auto di lusso (Ferrari e dintorni). «Andrà a finire che otterremo uno slittament­o nell’ordine di due o tre anni – profetizza il patron di Texa – ma la produzione di una nuova auto, specie se elettrica, ha una gestazione lunga almeno un quinquenni­o e chi è interessat­o a costruirle di sicuro a quest’ora si è già impegnato in programmi precisi e con investimen­ti adeguati».

"Silvestri (Fiom) Le filiere si accorciano, il rischio è che le nostre competenze emigrino dove si fanno gli investimen­ti

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Il pieno è «green» Le operazioni di ricarica di un’auto a motore elettrico

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