Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Hanno tentato di annientarm­i» L’infinita solitudine di Cloe Bianco

Camper a fuoco, l’addio della transgende­r sul blog. Il dolore della comunità Lgbtqia+

- Tommaso Moretto Alice D’Este

VENEZIA Può uno schiaffo tanto violento da stendere una società intera, essere allo stesso tempo educato e composto? Cloe Bianco, transgende­r, parlando apertament­e del dolore che ha accompagna­to la sua vita è riuscita a tenere insieme questo ossimoro. Uno schiaffo partito poco prima della sua morte e arrivato pochi giorni dopo, quando si diffondono online gli scritti del suo blog.

Il cadavere carbonizza­to è stato ritrovato sabato alle 6.30 del mattino in un furgone che lei, originaria di Marcon (Venezia) usava come casa mobile. E parcheggia­to a lato della strada regionale tra Auronzo e Misurina, in località Somprade. Era tutto bruciato, non c’era quasi più nulla quando sono arrivati i pompieri. Ora, però, sappiamo che è stata lei a togliersi la vita, consapevol­mente.

Il 10 giugno sul suo sito Cloe ha spiegato tutto: «Subito dopo la pubblicazi­one di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiat­o con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagna­ta dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderl­a con lo stesso stile. Qui finisce tutto». Contestual­mente ha pubblicato il suo testamento biologico, e quello olografo (scritto a mano).

Il post del blog porta la data del 10 giugno, poche ore prima di morire. Ma da tempo Cloe Bianco dava sfogo alle sue inquietudi­ni, denunciava i «tentativi di annientame­nto», la sofferenza che sentiva causata da chi la circondava e non accettava la sua scelta. «Essere una persona fuori dai canoni diffusi, dai modi comuni del vivere, ossia fuori da quello ch’è ritenuto giusto in una data società in uno specifico periodo temporale — scriveva — vuol dire incarnare ciò che non si deve essere, con le fin troppo ovvie conseguenz­e di rifiuto date dalle scelte ritenute, dalle altrui persone, scandalose, inaccettab­ili, non condivisib­ili». Una sofferenza che viveva pur descrivend­o se stessa come una «persona transgener­e che ha un’indiscussa consideraz­ione positiva per la transgener­ità autodeterm­inata e depatologi­zzata, per cui ha un indiscusso amore per questa sua caratteris­tica». «La transfobia uccide in molti modi diversi, anche indirettam­ente — dice

Chiara Cuccheri, presidente dell’Arcigay di Padova - ciò che è successo a Cloe Bianco ci lascia sconvolt* e amareggiat*. Lo stress di minoranza che colpisce la comunità LGBTQIA+ purtroppo porta a questi casi estremi, ci stringiamo attorno ai familiari e amici che l’avevano persa di vista. Vogliamo ribadire — continua Cuccheri — a tutte le persone in difficoltà che noi ci siamo, non siete sole e soli, siamo una comunità, diventiamo spesso una famiglia. Ci siamo con i nostri eventi, il Padova Pride, il Centro antidiscri­minazioni Spolato,

Insegnante Cloe Bianco, al secolo Luca Bianco, fu al centro di uno scandalo quando si presentò ai suoi studenti in abiti da donna

con la nuova casa rifugio di Padova. Quando la società ci relega ai margini, cerchiamo insieme modi per emergere».

Cloe nel 2015 era Luca Bianco, aveva cinquant’anni, era un insegnante tecnico all’istituto «Mattei» di San Donà di Piave quando entrò in classe vestita in abiti femminili, palesando chi si sentiva veramente, cioè Cloe. Un passo forte, che l’aveva catapultat­a sui tutti i media nazionali. Dopo una sospension­e di tre giorni aveva cambiato mansioni, non più a contatto con i ragazzi ma nelle segreterie didattiche. Dopo l’ultima nomina annuale al «Giordano Bruno» di Mestre, Cloe si era isolata. «Quando strappo l’erba o altre piantine nate da sé nei vasi dei miei fiori o vicino a piante da me messe a dimora a terra, mi pongo il problema dell’inaccettab­ile ingiustizi­a della sorte: perché alcune piante possono vivere e altre invece sono destinate a soccombere?», si legge nel suo blog.

La procura di Belluno ha disposto l’esame del Dna, ci vorrà tempo per l’ufficialit­à che si tratti di lei. Ma dubbi non ce ne sono. E nemmeno sull’enorme sofferenza che l’ha sempre accompagna­ta in vita: «Io sono brutta, decisament­e brutta, sono una donna transgener­e. Non faccio neppure pietà, neppure questo».

La Regione Veneto ha istitui to un nume ro ve rde (800.334.343) a cui possono rivolgersi le persone in difficoltà psicolgica.

"L’Arcigay Vogliamo ribadire a tutte le persone in difficoltà che noi ci siamo, non siete sole e soli, siamo comunità e diventiamo spesso una famiglia. Ci siamo con eventi e centri di aiuto

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