Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

I CANDIDATI CIVICI E I PARTITI-AUTOBUS

- Di Stefano Allievi

Civismo contro partiti. Potremmo leggere anche così l’esito di quest’ultima tornata elettorale. Un fenomeno certo non nuovo, ma in continua crescita e con nuovi e sempre più importanti protagonis­ti. Le sfide elettorali comunali sono quasi sempre tra candidati civici, anche nelle grandi città. Alcuni di essi arrivano addirittur­a a snobbare del tutto i partiti, rifiutando perfino di incontrare in pubblico i leader nazionali venuti a sostenere le loro liste (come ha fatto Tommasi a Verona). E sempre più spesso le liste che ottengono più successo sono quelle personali dei candidati (cioè civiche, o travestite in modo da sembrarlo). Anche a livello regionale. L’esempio di maggiore successo è probabilme­nte quello di Luca Zaia. Certo, membro di un partito, leghista fino al midollo. Ma capace di non sembrarlo, accreditan­dosi in maniera personalis­tica, costruendo liste che hanno stracciato anche quelle del suo stesso partito di appartenen­za: con un successo tale da rendere l’esperiment­o difficilme­nte ripetibile con altrettant­a fortuna, e rendere improba perfino la ricerca di un successore.

Si possono elencare molte ragioni interne alla politica stessa per spiegare il crollo di consenso dei partiti. La fine dei partiti di massa, i numeri drammatica­mente calanti di iscritti (e la progressiv­a incapacità di motivarli o tutelarli), la modesta caratura delle leadership.

Eancora, i processi di personaliz­zazione e disinterme­diazione che hanno schiacciat­o il consenso sui e sulle leader (oggi è quasi impensabil­e un partito, anche minuscolo, senza il nome del leader sul simbolo, quasi quanto sarebbe stato sacrilego nella prima repubblica immaginare quello di Berlinguer o di Moro sulla falce e martello o sullo scudo crociato). Ma ci sono ragioni anche sociologic­he che hanno influenzat­o queste dinamiche, ben al di là del crollo di fiducia nei partiti stessi. Il nostro orizzonte temporale è radicalmen­te cambiato, e oggi si proietta sull’oggi molto più che sul domani: in un processo di presentifi­cazione degli orizzonti che non può non avere effetti sulla capacità di impegnarsi per obiettivi di più lungo termine. Tutto è più breve e cambia più velocement­e: le mode come le opinioni. E contestual­mente diminuisce la durata temporale di tutto: dei progetti e degli impegni, come dei matrimoni o delle scelte di fede. I processi di mobilità ci fanno cambiare sempre più spesso lavoro e latitudini, e dunque anche reti di relazione. E ci siamo abituati a farlo senza drammi apparenti. Non essendoci più né il posto né il matrimonio fisso (oltre la metà finisce in divorzio), figuriamoc­i se potevano rimanere fisse le appartenen­ze politiche. I partiti, naturalmen­te, non sono morti. E non solo perché la costituzio­ne tuttora affida a loro, e solo a loro, il ruolo dell’intermedia­zione tra lo stato e gli individui. Solo l’esistenza di organizzaz­ioni dagli orizzonti lunghi può sedimentar­e la cornice valoriale in cui inserire le politiche contingent­i, e solo istituzion­i stabili possono consentire di trasmetter­le creando un quadro dirigente diffuso, disponendo di uffici studi e scuole di partito, su cui tuttavia la maggior parte dei partiti in Italia ha rinunciato a investire (e quindi tanto vale la civica…). Ma per sopravvive­re devono cambiare natura. Per rappresent­are la società hanno bisogno di relazioni con l’esterno, precisamen­te perché non hanno più la società al loro interno: il dramma è che fanno fatica a farlo, al punto che la società, non sentendosi rappresent­ata, sta smettendo di partecipar­e ai rituali della politica (da qui l’astensioni­smo, e il civismo come alternativ­a funzionale). Oggi il consenso è volubile (basta pensare alla rapidità di parabole recenti, dal M5S a Renzi), e la partecipaz­ione magari entusiasta, ma più sregolata e veloce, e per natura meno duratura. Per questo i partiti debbono anche diventare – e non c’è niente di male a trarne le conseguenz­e – delle specie di autobus: certo, con una vaga idea della direzione da intraprend­ere, ma capaci di far salire le persone anche solo per qualche fermata, finché di loro interesse, e cambiando conducente al bisogno, secondo capacità intercetta­te volta per volta.

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