Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
I sindacati: case di riposo senza operatori e infermieri
L’allarme della Cgil: «La carenza di personale costringe a chiudere i reparti già piegati dalla pandemia»
"Miglioranza e Bagnara Molte strutture per anziani sono solo formalmente pubbliche perché sono affidate interamente a coop
VICENZA Carenza di personale infermieristico e socio-sanitario che già ora costringere a chiudere dei reparti. Una linea di demarcazione fin troppo sottile tra pubblico e privato, con quest’ultimo che vanta agevolazioni fiscali che il primo non ha. Un sistema regionale sui centri residenziali per anziani fermo agli anni Ottanta. Con, sullo sfondo, un tasso di invecchiamento che costringerebbe a politiche sociali e socio-sanitarie diverse rispetto alle attuali. Il condizionale, in questi casi, è d’obbligo perché l’allarme lanciato dalla Cgil su queste strutture denuncia un atteggiamento in senso cont rar io. I numeri e le riflessioni offerte da Giulia Miglioranza e Stefano Bagnara, rispettivamente segretario vicentino e regionale di Funzione pubblica Cgil, tratteggiano un paesaggio nel quale, ricordano «la pandemia ha aggravato problemi già esistenti».
Una prima sintesi afferma che nel Vicentino, oggi, mancano almeno 200 infermieri in case di riposo e centri residenziali. Un numero che va considerato alla luce delle 38 strutture nell’Usl 8 Berica (il 66% delle quali pubbliche) e delle 34 nell’Usl 7 (il 56% pubbliche). «E anche sul termine “pubblico” dobbiamo intenderci – spiegano – perché uno dei temi dirimenti è quello delle esternalizzazioni di reparti da parte delle strutture. Anzi, ci sono casi in cui la struttura è solo formalmente pubblica perché tutti i reparti sono affidati alle cooperative». I riflettori si accendono sul personale, capitolo che investe retribuzioni e tutele. «Da un lato c’è una crescita di coloro che scelgono la libera professione – afferma Miglioranza – e dall’altro c’è una migrazione da queste strutture alle Usl, vuoi perché gli stipendi sono migliori, vuoi perché i carichi di lavoro sono diversi». Dice la sindacalista: «A Valdagno o ad Arzignano per esempio, bandi di assunzioni vanno deserti nonostante i gestori delle strutture propongono un livello contrattuale di partenza più conveniente». Intendiamoci: nel capitolo «personale» non rientrano solo gli infermieri ma anche gli operatori socio-sanitari. «Sui quali, a differenza dei primi non c’è, tra le molte criticità, anche il perno della formazione. Ma osserviamo una lenta disaffezione nei confronti della professione». Stando ai sindacalisti è necessario un cambio di marcia a monte che non si traduca in misure «cosmetiche». «L’impressione – afferma Bagnara – è che la Regione non stia governando la situazione. Prendiamo gli operatori socio-sanitari. C’è una delibera, già bocciata una volta dal Tar, che di fatto trasforma gli stessi in “mini infermieri” » . Parole che introducono quella che per Fp Cgil rimane la questione principe. «C’è una carenza complessiva di programmazione – continua Bagnara –. E nell’ambito di questa carenza c’è la mancata riforma regionale. Solo il Veneto e la Sicilia, finora non l’hanno realizzata. A ogni inizio legislatura si presenta un progetto che poi non ha seguito». Un vuoto, per inciso, sul quale il consigliere comunale Giovanni Rolando (Pd) ha più volte puntato il dito a Palazzo Trissino.