Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il vicedirettore Giustini «Baciate, Zonin sapeva»
In aula l’ex vicedirettore pentito: «Tutti sapevano». La difesa di Zonin: nulla di nuovo
Lo ha detto chiaramente l’ex vicedirettore generale di Bpvi Giustini: era semplicemente impossibile che gli uomini forti della banca, in primis il presidente Zonin, non fossero a conoscenza del fenomeno delle «baciate» (prestiti fatti dalla banca al cliente invitandolo a investiva in azioni).
"Giustini/1 È falso che nelle riunioni di direzione non se ne parlasse, ma non si doveva dire
VENEZIA Si potrà pure ipotizzare che l’abbia fatto per un tornaconto personale, nel tentativo di alleggerire la propria posizione processuale dopo la condanna a 6 anni e 3 mesi in primo grado. Ma se anche così fosse, l’esame dell’ex vicedirettore di Bpvi, Emanuele Giustini, davanti alla Corte d’Appello di Venezia, avvenuto ieri al culmine di un «percorso lungo e difficile, anche sul piano umano, che mi ha portato a decidere di chiarire in modo trasparente le mie responsabilità» (sono parole dell’imputato), ha comunque un potente valore di testimonianza «dall’interno» sulle vicende che hanno portato al default della Popolare di Vicenza. Perché Giustini era un uomo forte della banca, il capo della divisione mercati a cui rispondevano più di tremila dipendenti della rete commerciale, un autentico «duro» nei ricordi dei colleghi che lavoravano sotto di lui. Colpisce sentirgli dire, rispondendo alle domande del presidente della Corte Francesco Giuliano, frasi come «non voglio il male di nessuno, ma quando l’ex presidente Gianni Zonin e Massimiliano Pellegrini (l’ex responsabile della divisione bilancio, assolto nel processo di primo grado, ndr) hanno insistito anche nei motivi di appello nel dire di non sapere nulla dell’operatività legata alle operazioni baciate, mi sono sentito in dovere di reagire e di chiarire: è semplicemente impossibile che sia così. Ma siccome è la mia parola contro la loro, e io sono imputato e condannato in primo grado, per ribattere ho dovuto approfondire e analizzare il contenuto di più di un milione di mail, così da documentare quanto vado affermando».
E dunque, quali sono le verità del «pentito» Emanuele Giustini? La prima: «È falso che nelle riunioni di direzione non si parlasse delle baciate. Lo stesso Pellegrini, al termine di una di queste riunioni, mi chiese: “ma di quanti soldi stiamo parlando?”, dimostrando di conoscere bene la prassi dei finanziamenti correlati all’acquisto di azioni». La seconda: «I documenti dimostrano - sottolinea l’ex vicedirettore - che un grande numero di soci della Popolare aveva in corso finanziamenti per quantità equivalenti al prezzo delle azioni acquistate». La terza: «A conclusione dell’aumento di capitale del 2013, circola in banca una mail della funzione di controllo gestione in cui compare distintamente il fenomeno: si dice di una crescita per 350 milioni degli impieghi in rapporto all’aumento di capitale, il che è la tipica conseguenza dei finanziamenti “baciati”: questi sono dati oggettivi, portati a conoscenza di tutta la struttura».
Insomma: come si era abbondantemente capito, in Bpvi a proposito delle baciate vigeva la regola generale («Imposta dal direttore generale Samuele Sorato», sottolinea Giustini), del «si fa ma non si deve dire». Un andazzo al quale, almeno fino a una certa epoca, sembra non si sottraessero neppure gli organi deputati a vigilare. Tra i molti episodi rievocati ieri in aula dall’ex vicedirettore, ce n’è uno che vale a esemplare illustrazione del sistema: «Al termine dell’ispezione condotta dalla Banca d’Italia nel 2012, il capo degli ispettori, Giampaolo Scardone, mi volle vedere. Durante il colloquio mi chiese: i principali 100 soci della Bpvi risultano avere tutti impieghi simili, mi spiega come mai? Io (ben sapendo che quel dato presupponeva l’esistenza dei finanziamenti baciati, ndr) gli risposi così: siamo una banca popolare e nella concessione dei crediti tendiamo a privilegiare i soci. Conclusione dell’ispettore: bene, è proprio la risposta che volevo sentire». Così andava il mondo, appena dieci anni oro sono...
Quanto al ruolo ricoperto nella vicenda dall’ex presidente Zonin, Giustini era stato molto chiaro già prima del suo percorso di ravvedimento, durante il processo di primo grado: «Zonin e tutto il
Cda sapevano delle baciate. Anche il dg Sorato mi diceva che il presidente era a conoscenza del fenomeno nella sua gravità».
Ieri, l’ex vicedirettore ha aggiunto un dettaglio: « Il 30 aprile del 2015 (quando il bubbone è deflagrato in tutta la sua gravità, ndr) vengo a sapere da Sorato che il presidente ci vuole fare fuori dalla banca, per la vicenda delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. Allora chiedo un appuntamento a Zonin, che mi riceve il 4 maggio, alla presenza del vicepresidente Marino Breganze: io mi porto tutti i documenti del caso, lui mi dice che non sapeva delle baciate al 100% (sebbene Sorato ne parlasse in Cda, ci sono gli audio a dimostrarlo) ma che era a conoscenza di quelle parziali». Un’affermazione, quest’ultima, che il difensore di Zonin, Enrico Ambrosetti, confuta alla radice: «Agli atti ci sono gli appunti presi da Zonin quel giorno, si deduce agevolmente che era Giustini a spiegargli come funzionavano le baciate e il presidente ne prendeva nota: se fosse già stato a conoscenza del fenomeno, perché avrebbe dovuto appuntarselo? Quanto al resto - sottolinea il legale - da Giustini oggi (ieri per chi legge, ndr) non ho sentito nulla di realmente nuovo e nulla di rilevante sul piano probatorio » . Anche l’ex presidente non ha perso il sorriso: «Giustini fa quello che pensa sia utile per difendersi. Quando i nostri avvocati lo controinterrogheranno (domani, ndr) vedrete se la sua è stata vera trasparenza».
"Giustini/2 Zonin e Pellegrini continuano a dirsi ignari, mi sono sentito in dovere di chiarire