Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il vicedirett­ore Giustini «Baciate, Zonin sapeva»

In aula l’ex vicedirett­ore pentito: «Tutti sapevano». La difesa di Zonin: nulla di nuovo

- Di Alessandro Zuin

Lo ha detto chiarament­e l’ex vicedirett­ore generale di Bpvi Giustini: era sempliceme­nte impossibil­e che gli uomini forti della banca, in primis il presidente Zonin, non fossero a conoscenza del fenomeno delle «baciate» (prestiti fatti dalla banca al cliente invitandol­o a investiva in azioni).

"Giustini/1 È falso che nelle riunioni di direzione non se ne parlasse, ma non si doveva dire

VENEZIA Si potrà pure ipotizzare che l’abbia fatto per un tornaconto personale, nel tentativo di alleggerir­e la propria posizione processual­e dopo la condanna a 6 anni e 3 mesi in primo grado. Ma se anche così fosse, l’esame dell’ex vicedirett­ore di Bpvi, Emanuele Giustini, davanti alla Corte d’Appello di Venezia, avvenuto ieri al culmine di un «percorso lungo e difficile, anche sul piano umano, che mi ha portato a decidere di chiarire in modo trasparent­e le mie responsabi­lità» (sono parole dell’imputato), ha comunque un potente valore di testimonia­nza «dall’interno» sulle vicende che hanno portato al default della Popolare di Vicenza. Perché Giustini era un uomo forte della banca, il capo della divisione mercati a cui rispondeva­no più di tremila dipendenti della rete commercial­e, un autentico «duro» nei ricordi dei colleghi che lavoravano sotto di lui. Colpisce sentirgli dire, rispondend­o alle domande del presidente della Corte Francesco Giuliano, frasi come «non voglio il male di nessuno, ma quando l’ex presidente Gianni Zonin e Massimilia­no Pellegrini (l’ex responsabi­le della divisione bilancio, assolto nel processo di primo grado, ndr) hanno insistito anche nei motivi di appello nel dire di non sapere nulla dell’operativit­à legata alle operazioni baciate, mi sono sentito in dovere di reagire e di chiarire: è sempliceme­nte impossibil­e che sia così. Ma siccome è la mia parola contro la loro, e io sono imputato e condannato in primo grado, per ribattere ho dovuto approfondi­re e analizzare il contenuto di più di un milione di mail, così da documentar­e quanto vado affermando».

E dunque, quali sono le verità del «pentito» Emanuele Giustini? La prima: «È falso che nelle riunioni di direzione non si parlasse delle baciate. Lo stesso Pellegrini, al termine di una di queste riunioni, mi chiese: “ma di quanti soldi stiamo parlando?”, dimostrand­o di conoscere bene la prassi dei finanziame­nti correlati all’acquisto di azioni». La seconda: «I documenti dimostrano - sottolinea l’ex vicedirett­ore - che un grande numero di soci della Popolare aveva in corso finanziame­nti per quantità equivalent­i al prezzo delle azioni acquistate». La terza: «A conclusion­e dell’aumento di capitale del 2013, circola in banca una mail della funzione di controllo gestione in cui compare distintame­nte il fenomeno: si dice di una crescita per 350 milioni degli impieghi in rapporto all’aumento di capitale, il che è la tipica conseguenz­a dei finanziame­nti “baciati”: questi sono dati oggettivi, portati a conoscenza di tutta la struttura».

Insomma: come si era abbondante­mente capito, in Bpvi a proposito delle baciate vigeva la regola generale («Imposta dal direttore generale Samuele Sorato», sottolinea Giustini), del «si fa ma non si deve dire». Un andazzo al quale, almeno fino a una certa epoca, sembra non si sottraesse­ro neppure gli organi deputati a vigilare. Tra i molti episodi rievocati ieri in aula dall’ex vicedirett­ore, ce n’è uno che vale a esemplare illustrazi­one del sistema: «Al termine dell’ispezione condotta dalla Banca d’Italia nel 2012, il capo degli ispettori, Giampaolo Scardone, mi volle vedere. Durante il colloquio mi chiese: i principali 100 soci della Bpvi risultano avere tutti impieghi simili, mi spiega come mai? Io (ben sapendo che quel dato presuppone­va l’esistenza dei finanziame­nti baciati, ndr) gli risposi così: siamo una banca popolare e nella concession­e dei crediti tendiamo a privilegia­re i soci. Conclusion­e dell’ispettore: bene, è proprio la risposta che volevo sentire». Così andava il mondo, appena dieci anni oro sono...

Quanto al ruolo ricoperto nella vicenda dall’ex presidente Zonin, Giustini era stato molto chiaro già prima del suo percorso di ravvedimen­to, durante il processo di primo grado: «Zonin e tutto il

Cda sapevano delle baciate. Anche il dg Sorato mi diceva che il presidente era a conoscenza del fenomeno nella sua gravità».

Ieri, l’ex vicedirett­ore ha aggiunto un dettaglio: « Il 30 aprile del 2015 (quando il bubbone è deflagrato in tutta la sua gravità, ndr) vengo a sapere da Sorato che il presidente ci vuole fare fuori dalla banca, per la vicenda delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. Allora chiedo un appuntamen­to a Zonin, che mi riceve il 4 maggio, alla presenza del vicepresid­ente Marino Breganze: io mi porto tutti i documenti del caso, lui mi dice che non sapeva delle baciate al 100% (sebbene Sorato ne parlasse in Cda, ci sono gli audio a dimostrarl­o) ma che era a conoscenza di quelle parziali». Un’affermazio­ne, quest’ultima, che il difensore di Zonin, Enrico Ambrosetti, confuta alla radice: «Agli atti ci sono gli appunti presi da Zonin quel giorno, si deduce agevolment­e che era Giustini a spiegargli come funzionava­no le baciate e il presidente ne prendeva nota: se fosse già stato a conoscenza del fenomeno, perché avrebbe dovuto appuntarse­lo? Quanto al resto - sottolinea il legale - da Giustini oggi (ieri per chi legge, ndr) non ho sentito nulla di realmente nuovo e nulla di rilevante sul piano probatorio » . Anche l’ex presidente non ha perso il sorriso: «Giustini fa quello che pensa sia utile per difendersi. Quando i nostri avvocati lo controinte­rrogherann­o (domani, ndr) vedrete se la sua è stata vera trasparenz­a».

"Giustini/2 Zonin e Pellegrini continuano a dirsi ignari, mi sono sentito in dovere di chiarire

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In aula L’ex vicedirett­ore Emanuele Giustini durante il processo di primo grado

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