Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Appoggiate gli anti-gender». Scoppia il caso Zenti
Siamo tutti Cloe
VERONA Il vescovo scrive ai «suoi» sacerdoti. E di colpo finisce al centro di un caso politico, come del resto era già accaduto in passato con una lettera in appoggio a una candidata leghista locale alle regionali del 2015. Monsignor Giuseppe Zenti ha inviato a tutti i «carissimi confratelli» veronesi una lettera in cui, tra le altre cose, spiega («in considerazione delle ricadute dei nostri interventi sui fedeli») che alle elezioni «è nostro dovere individuare quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta di Dio e non alterata dall’ideologia del gender ».
Non si fanno nomi, ma sono parole, queste, che a pochi giorni dal ballottaggio tra Federico Sboarina e Damiano Tommasi hanno scatenato reazioni da ogni parte e sono state lette da molti come un chiaro endorsement a favore del candidato del centrodestra. Il diretto interessato si è ben guardato dal commentare in merito, dribblando le domande nel corso di una conferenza stampa. Il candidato del centrosinistra, Damiano Tommasi, intanto, spiegava ai microfoni di TeleArena che «il vescovo fa il vescovo: questi temi sono molto sentiti ma non so da quali presupposti si sia partiti, perché il nostro programma è abbastanza chiaro e comprende scelte che hanno già fatto tantissime città e tantissimi enti locali». Nel programma di Tommasi è in effetti prevista «l’adesione del Comune di Verona alla Carta RE.A.DY, sottoscritta da altre città (Trento, Padova, Mantova e Belluno) per la tutela dei diritti umani». Quella Carta sottolinea che «in Italia le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender non godono ancora di pieni diritti e spesso vivono situazioni di discriminazione nella vita familiare, sociale e lavorativa a causa del perdurare di una cultura condizionata dai pregiudizi». Immediato intervento sul tema anche di Flavio Tosi. «Suggerisco, da uomo liberale di centrodestra – spiegava Tosi - che anziché strumentalizzare il vescovo o politicizzare la religione, sarebbe più utile dire ai veronesi e alle veronesi come si pensa di risolvere i problemi concreti della città». Secondo Tosi, invece, «Sboarina punta a radicalizzare lo scontro, fondarlo sull’ideologia più retriva e così isola a proprio piacimento una delle tante riflessioni di monsignor Zenti sulla famiglia, e usa e interpreta a proprio uso e consumo».
Da tutti i partiti, peraltro, pioggia di commenti. Il consigliere regionale Stefano Valdegamberi affermava che «bene ha fatto il nostro vescovo». Sull’altro fronte, Carlo Calenda, leader e fondatore di Azione, parlava di «una gravissima ingerenza, perché delle intromissioni dirette della Chiesa nelle elezioni non abbiamo nostalgia». E Giorgio Pasetto (Più Europa) parlava di «colpo sotto la cintola al nostro candidato» aggiungendo che «Zenti è quello che ha distrutto l’ostello di Villa Francescatti e quello che non si è accorto dei reati di pedofilia commessi nell’istituto Provolo».
Si fa presto a dire «siamo tutti Cloe». Siamo tutti la prof transgender che si è data fuoco nel suo camper nei boschi tra Auronzo e Misurina. Siamo tutti Luca Bianco, come si chiamava nel 2015, quando aveva varcato la soglia dell’aula dell’istituto di Agraria «Scarpa-Mattei» di San Donà nel quale insegnava, in abiti femminili, annunciando: d’ora in poi chiamatemi Cloe. Siamo tutti la vittima che ha lasciato parole grandi e lancinanti sul suo blog, «subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto». Si fa presto a dire «siamo tutti Cloe», ora che vorremmo andare tra quegli alberi a dire come questa storia ci riguardi. Più difficile dire che siamo anche tutti gli altri. Il suo tormento, le ragioni profonde e ultime del suicidio, sono totalmente sue, totalmente private. Ma tutto quel che è successo prima no. E diciamolo, noi siamo anche le chat dei genitori che su WhatsApp ogni giorno propagano le più bieche superstizioni contro il «gender» (che non esiste) appena qualche decente professore tratta con gli alunni un tema che essi conoscono benissimo, e che hanno già superato. Siamo i genitori ipersuscettibili che si preoccupano delle reazioni «dei nostri ragazzi» di fronte a un uomo vestito da donna prima che di altri gesti quotidiani realmente e continuamente violenti. Siamo le mamme e i papà sempre pronti a scrivere mail indignate alla signora preside e al signor professore per dire come devono comportarsi con i propri figli. Siamo la scuola debole che si precipita a sospendere una docente. Siamo il Ministero che la mette nella riserva indiana della segreteria: via dalle aule! Siamo il politico che ne approfitta per tweet e post indignati. Siamo la giustizia che a volte fa la progressista, ma che poi rivela il suo volto antico, paternalista e pedagogico: un outing in così breve tempo, senza preparare adeguatamente le scolaresche, «non è responsabile e corretto», si legge nella sentenza del tribunale del lavoro su Cloe. Siamo i giornali che nel mesto clickbaiting sparano la notizia pensando a quanti contatti porterà. E siamo, infine, l’ordinario circo di iene che produrrà nel caso migliore la battuta da osteria, in quello peggiore l’invettiva violenta. Insomma siamo semplicemente noi. A ben pensarci, forse non meritiamo proprio di dire che noi siamo Cloe.