Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
UN MOSE DOPO IL MOSE
Nel «Viaggio nell’Italia dell’antropocene» (Pievani e Varotto, Aboca, 2022) il protagonista, Milordo, che visita il Belpaese nel 2786 sulle orme del Grand Tour aristocratico del XVIII secolo, arriva in barca nel luogo dove una volta sorgeva Venezia per vedervi solo l’angelo posto da secoli sulla sommità del campanile di San Marco, ora sommerso come il resto della città e l’intera pianura padano-veneta. Milordo constata nel 2786 l’effetto dell’innalzamento di 65 metri del livello del mare rispetto al livello di costa attuale prodotto dal riscaldamento globale. Fenomeno del quale l’umanità si era accorta dalla fine del secondo millennio, ma che non aveva trovato la forza di contrastare. Una visione – ammettono gli autori - «ipotetica, fantascientifica, distopica» e quindi forse irrealistica. Ma che diventa inquietante per la sua compatibilità con uno scenario proiettato ad un ben più vicino 2100 che l’ IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) considera «il più probabile» per l’Alto Adriatico.
Uno scenario che per Venezia e la sua laguna significa – sono le parole pronunciate dal professor Andrea Rinaldo presidente dell’ IVSLA (Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti) nella sua relazione di chiusura del 184° anno accademico lo scorso 12 giugno - confrontarsi con «un aumento relativo del livello medio del mare entro il 2100 di circa un metro» e con «la certezza che, nell’attuale modalità operativa, le barriere mobili (del MoSE) che proteggono la città dovrebbero essere chiuse in media più di 260 volte l’anno. Fatti che - ammesso che salvare Venezia e la sua laguna sia sempre di preminente interesse nazionale - dovrebbero razionalmente suggerire a chi ne ha la responsabilità (l’Autorità per la laguna di Venezia che, forse, sta finalmente nascendo?) due decisioni immediate: 1) l’avvio della ricerca del «nuovo» modo di protezione di Venezia e della sua laguna da rendere operativo dopo il 2100 e 2) il miglior utilizzo del sistema MoSE negli 80 anni di vita utile che ha davanti. Sul primo punto l’IVSLA, che aveva già segnalato l’urgenza del problema con un appello al Presidente Draghi nell’ottobre 2021 nell’imminenza del vertice COP26 dell’ONU, sta lavorando per bandire una consultazione scientifica internazionale, intitolata «A vision for a thriving Greater Venice by 2100» (Una visione per una prospera Grande Venezia nel 2100), sul modello di analoghe esperienze, non italiane, e nel solco della tradizione di attenzione alla salvaguardia di Venezia coltivata dall’IVSLA fin dalla fine dell’ottocento. Nel frattempo - è il secondo punto - occorre sfruttare al meglio tutte le potenzialità del sistema MoSE. Non possiamo aver speso più di 5miliardi di euro per non tenere - come il MoSE consente - tutti i veneziani con i piedi asciutti per i prossimi 80 anni. Non possiamo, peraltro, aver speso più di 5 miliardi di euro per lasciar morire il porto non garantendo allo stesso - come è possibile - l’accessibilità dal mare anche a barriere mobili alzate. Un obiettivo quest’ultimo non raggiungibile con la sola conca di navigazione di Malamocco, nata irrimediabilmente obsoleta. Soluzioni che accoppino alla conca punti di attracco in altura giacciono nei cassetti dell’Autorità di sistema portuale o scaturiranno dal concorso d’idee già bandito dalla stessa Autorità. Venezia e la sua laguna sono da oggi impegnate in una nuova tappa di quel «giro secolare di sostenibilità e resilienza», come si direbbe oggi, di costruzione e ricostruzione dell’ecosistema lagunare e della sua difesa dal mare, iniziato nel 14° secolo e passato, prima del MoSE, per le tappe della deviazione del corso dei fiumi sversanti in laguna o della costruzione dei «murazzi». Ma è una tappa che Venezia deve vincere portando oltre il 2100 l’urbs di ieri dentro la civitas (metropolitana) di domani, che sarà «prospera» solo se potrà ancora contare come la Serenissima anche sul suo porto messo in condizione di competere con gli scali di tutta Europa.