Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Fantinati, un veneto tra gli scissionisti D’Incà e gli altri: «Fedeli a Conte»
VENEZIA Il «capitolo veneto» dei parlamentari 5 Stelle ha iniziato la legislatura, nel 2018, con un drappello meno nutrito di altri regioni: otto deputati e quattro senatori. Ne sono rimasti sei: la veronese Francesca Businarolo, il bellunese Federico D’Incà ora ministro dei rapporti con il Parlamento, Giovanni Endrizzi (bellunese ma attivo a lungo a Padova), la vicentina Barbara Guidolin, il trevigiano Gianni Girotto e la veneziana Orietta Vanin. Anche tra il Garda e la Laguna, insomma, il Movimento ha subito le stesse sorti del resto d’Italia, dimezzando la sua presenza a livello parlamentare. Alcuni esponenti, come Alvise Maniero ed Raphael Raduzzi, hanno scelto il contingente «contro» di Alternativa, scissione nata con il governo Draghi. Prima ancora, l’espulsione di Sara Cunial.
L’ultimo addio è di Mattia Fantinati, ingegnere veronese che, negli anni del boom pentastellato si era distinto per le attività a sostegno delle microimprese. È l’unico veneto nella lista dei dimaiani che hanno aderito a «Insieme per il futuro», il nuovo gruppo parlamentare creato dal ministro degli Esteri. «La situazione era divenuta oggettivamente insostenibile – ha dichiarato – in questo momento di guerra alle porte, dopo la pandemia era impensabile non avere una linea certa su temi chiave. Se il Movimento 5 Stelle andrà avanti così, finirà a breve. Già gli elettori ci hanno punito pesantemente alle amministrative...». Quindi la profezia: «Non saremo gli unici: molti altri seguiranno il progetto che stiamo mettendo in piedi con il ministro Di Maio». Ma chi? Il resto della truppa grillina veneta, al momento, smentisce. E, anzi, ribadisce la fedeltà al simbolo con le cinque stelle. A partire da D’Incà, «collega» di Di Maio a Palazzo Chigi che, pur non facendo ancora una dichiarazione ufficiale, fa sapere che «non lascerà il Movimento».
Quindi Businarolo, tra i parlamentari al secondo mandato: «La mia scelta l’ho fatta nel 2013, quando mi sono candidata con il Movimento 5 Stelle. Da allora ho sempre rispettato il mandato degli elettori. La storia politica italiana, anche recente, insegna che tradendola non si ottiene nulla. Il M5S è impegnato nel costruire una grande proposta per l’Italia di domani, guardando al 2050. Il confronto interno è cosa naturale in un grande movimento politico. Rompere per riposizionarsi a un anno dalle elezioni, al contrario, è qualcosa di cui gli elettori chiederanno conto alle urne».
Già, gli elettori: come sottolinea Fantinati le amministrative sono andate male (Padova, 1,3%; a Verona non c’era nemmeno il simbolo, ma ci sarà almeno un esponente in consiglio in caso di vittoria del centrosinistra). Il M5S è finito in Veneto? Non per Erika Baldin, rappresentante dei pentastellati in consiglio regionale: «Continueremo a esserci, anche in Veneto, dalla parte dei cittadini colpiti dalla crisi energetica e dall’inflazione. Serve la transizione ecologica e nuove riforme fondamentali come il salario minimo».
Per Endrizzi, una chiave per ripartire sul territorio sarà data «dai coordinatori locali, ruolo che ora stiamo definendo. Per il resto, ricordo che siamo nati proprio per contrastare la logica dei feudi elettorali: nel 2013 non avevamo parlamentari, nel 2018 non eravamo al governo». Quindi la stoccata a Di Maio: «Non si dica che oggi ci manca l’artefice di quell’exploit. In un anno, il capo politico, due volte ministro e vice presidente del consiglio ha dimezzato i voti…».