Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Siccità, persi vent’anni»: scatta la stretta sui prelievi Il caso dei «furti» d’acqua
Maxi vertice in Provincia. «Dopo il 2003 non è stato fatto nulla»
VICENZA «Sono stati persi vent’anni». L’ammissione della sconfitta risuona poco prima di mezzogiorno nell’aula consiliare di Palazzo Nievo. Il ricordo va alla siccità del 2003, e poco importa se oggi si arrotonda di un anno quando l’unica differenza è che le temperature e la scarsità idrica all’epoca si registrarono in agosto mentre ora si subiscono a giugno. «Il combinato tra ideologizzazione dei cambiamenti climatici e una sorta di normalizzazione dei livelli delle falde acquifere negli anni successivi, pur non raggiungendo le quote di 30 o 40 anni fa, ha spinto ad accantonare il problema, non lavorare sulla prevenzione, non immaginare il ritorno di uno scenario simile» osserva Andrea Baldisseri del settore Ambiente della Provincia. Paradossalmente gli unici lavori, leggi bacini di laminazione, sono stati eseguiti dopo alluvioni ed esondazioni.
È un vertice che verosimilmente resterà nella storia quello svoltosi in contra’ Gazzolle tra i consiglieri delegati all’agricoltura (Antonio Gasparini), alla polizia provinciale (Mattia Veronese) e alla protezione civile ( Marco Montan), i rappresentanti dei consorzi di bonifica Alta Pianura Veneta, Brenta e Adige Euganeo), le associazioni di categoria Coldiretti, Cia e Confagricoltura, la polizia provinciale e l’associazione Bacino di pesca B. Da un lato la presa d’atto della politica che i cambiamenti climatici sono arrivati anche qui; e dall’altro l’ammissione che finché si farà riferimento a decreti del Regno d’Italia che tuttora fanno testo per l’irrigazione, «ogni anno dovremmo decidere se salvare la tinca o la pannocchia».
E questo perché sulla siccità s’incrocia l’esigenza di salvare un patrimonio ittico con esemplari protetti a livello comunitario, giacché fiumi con poca portata sono fiumi con ossigeno insufficiente per i pesci, e la protezione dell’agricoltura, già in difficoltà per sua natura.
Il «case history» è il fiumicello Brendola, appena ripresosi dall’inquinamento e dalla successiva moria di pesci causata dall’incendio di una fabbrica di vernici tre anni fa. «È un corso di risorgive che mai nella sua storia ha raggiunto un livello così allarmante. Ora pensiamo a irrigazioni a turnazione e a determinati orari» spiega Helga Fazione, direttrice del Consorzio Apv. Tanto allarmante da costringere i sindaci di Brendola e Sarego a emettere una ordinanza che vieta l’irrigazione con acqua dal fiumicello.
La genesi del problema transita dai due tipi di pescaggio dell’acqua: quella che fa capo al consorzio, regolamentata; e quella cosiddetta libera, nella quale gli agricoltori pescano dai pozzi, creando disparità di prestazioni e un calo del livello del fiume. Tema che a sua volta ne introduce un altro: quello dei «furti» d’acqua e della sorveglianza. Che, con le attuali forze della polizia provinciale è insostenibile (20 agenti di cui 4 pensionandi). «Con la Regione batteremo anche su questo punto - dice Veronese -. E chiediamo due cose: incontrare gli assessori regionali Giampaolo Bottacin e Federico Caner perché possano, tramite i dirigenti di Ambiente e Agricoltura, dare a sindaci, Consorzi e associazioni di categoria indicazioni precise, in prima battuta. In seconda, rafforzare il piano di prevenzione». Cosa che per tutta evidenza è mancato almeno negli ultimi vent’anni.