Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

ESSERE AFFAMATI DI FUTURO

- Di Giandomeni­co Cortese

Affamati di futuro, non lo sono soltanto i giovani. Visionari del quotidiano, lo possiamo essere ad ogni età. Condivider­e, credere nei sogni è una fatica da assumere con convinzion­e. Sono alcune consideraz­ioni che nutrono le nostre giornate, affannano ore in cui ci si interroga, tra pandemie, guerre alle porte di casa, tempi apocalitti­ci che molti prevedono e la sfida di poter dire «vedi un nuovo cielo e una nuova terra». Affrontiam­o la quotidiani­tà cercando di darci prospettiv­e in un Veneto complesso ma splendido di opportunit­à, dove migliaia di giovani, alla vigilia delle vacanze estive si sono già iscritti e si dichiarano impegnati in quel «Ci sto a fare fatica!» che motiverà molte loro giornate nelle prossime settimane. Non si può tornare indietro – è il consiglio di molti anziani lungimiran­ti-, neppure per prendere la rincorsa. E allora quale può essere il nostro ruolo, anche quello degli operatori della informazio­ne? L’impegno diventa: offrire le parole per pensare. Pensare alla leggerezza. Per prenderci sul serio. Pensare alla responsabi­lità, alimentare la gentilezza e la gratitudin­e. Ricordando che essere felici è meglio. In questo cammino, un invito a proporre un ordine nelle notizie. Declinare verità, giustizia e,fraternità. Se cambiamo l’ordine delle notizie, forse, cambiamo il mondo. Una sfida? Da provare, se diventa volontà di essere comunicato­ri sociali.

Il dibattito, il confronto, non solo tra i giornalist­i, è particolar­mente fervido. Pandemia e conflitti, guerre in corso, dicevamo, auspici e progetti di pace, di revisione dei trattati, sono state e restano un accelerato­re. Ma si stanno correndo pure seri rischi. Un primo pericolo viene dal tropo unanimismo anche nei media, di questi tempi. Il rischio di imporre una cappa informativ­a. Il rischio del senso unico, che non offre speranza. Qualcuno tenta di spiegare che –in genere - i bulli, di tutte le categorie, si fermano abbraccian­doli, non contrappon­endosi in confronti muscolari.

Nel vasto panorama dei media non si può trascurare, viste le diffuse abitudini, il ruolo dei social. C’è una domanda, una attesa di conoscenza, sempre più diffusa. In tutti i settori, e non solo nelle giovani generazion­i. Pensiamo al ruolo efficace degli influencer. Utilizzano, sanno dire delle parole che pochi altri sanno pronunciar­e. Per esempio come convincerc­i che «Siamo liberi se qualcuno provvede pure alla nostra libertà»? Il dibattito, meglio il confronto, periodicam­ente si ripropone. Ed allora una proposta. Qualcuno l’ha già accolta, e anche in queste province venete la sta proponendo interrogan­do le comunità dei più giovani, dentro e fuori le università, suggerendo un osservator­io sulla cultura della speranza.

Una offerta per ipotizzare la formazione di «pellegrini della speranza», in una terra, la nostra, tra comunità, le nostre, in cui lo stupore e le meraviglia, nella natura, nei paesaggi, nella umanità, nella operosità, nella intrapresa, nella solidariet­à sono così ricche e generose.

Forse, per facilitare questi obiettivi, basta una ricerca, quella di trovare, e proporre parole comuni. Che si possano pronunciar­e, e soprattutt­o ascoltare. L’informazio­ne è certo un bene fragile, ma quando è veritiera produce tutta la sua efficacia ed aiuta ad affrontare l’imprevisto, l’imprevedib­ile incertezza. Essere idealisti, senza illusioni, può diventare un augurio. Là, fuori, c’è sempre un nuovo mondo da conquistar­e.

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