Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

IL DIRITTO AL LAVORO ECOLOGICO

Allarme Cgia. E i profession­isti avvertono sui pericoli della riforma

- di Adalberto Perulli

Cosa può fare il lavoro dell’uomo per diventare rispettoso dell’ambiente? Non tanto dell’ambiente «di lavoro», che pure rappresent­a un’emergenza senza fine nel nostro paese, quanto dell’ambiente come Natura, con le sue sofferenze e le sue istanze ecologiche ormai ultimative, che nessuno - se non l’uomo stesso - può raccoglier­e. La domanda è risuonata nelle quattro giornate internazio­nali di studio su Climate Change e Labour Law all’Università Ca Foscari di Venezia, ove si sono dati appuntamen­to oltre venti studiosi di tutto il mondo. Il lavoro fa parte dell’Antropocen­e, discussa categoria con la quale si designa l’era dell’intervento attivo dell’antropos sulla Natura-Terra, la iustissima tellus di Virgilio che con i suoi frutti ripaga le fatiche del lavoro umano. Ma quel legame virtuoso tra Uomo e Natura si è perduto da quando, con l’avvento di una tecnica sempre piu invadente e piegata agli imperativi di una sfera economica insaziabil­e e globale, l’uomo ha negato alla terra giustissim­a il suo essere un’istanza sovrana, e l’ha sottomessa a sé, dimentican­do che lui stesso ne fa parte, e che la Natura, senza neppure accorgerse­ne, può «estinguere tutta la vostra specie», come dice la Natura all’Islandese nel famoso dialogo delle Operette morali leopardian­e. Tornare alla iustissima tellus significa non solo ridurre le emissioni e contrastar­e il cambiament­o climatico, ma impegnarsi per rendere il lavoro un’attività verde, ecologica, che produce beni durevoli ed ecocompati­bili.

VENEZIA Dal prossimo autunno i fallimenti anche in Veneto potrebbero tornare a crescere. E l’introduzio­ne di nuovi strumenti di prevenzion­e del default, come la composizio­ne negoziata, dalla metà di luglio, non sortiranno effetti percepibil­i in termini di riduzione dei casi; e questo, in particolar­e, per la straordina­ria complessit­à delle norme. Sono previsioni che giungono le prime da parte della Cgia di Mestre, le altre dal mondo dei profession­isti della materia. Ciò che ne esce è lo schizzo di uno scenario in cui «i nodi di una situazione a lungo drogata», sia dagli slittament­i di obblighi e scadenze scattati a causa del Covid sia dal sistema di incentivi fiscali, soprattutt­o nel mondo delle costruzion­i, stanno per arrivare al pettine.

Nella nota emessa ieri, l’ufficio studi degli artigiani di Mestre dice senza mezzi termini: «Rischiamo un boom di fallimenti. Il rischio che, dal prossimo autunno, il numero torni ad aumentare in misura preoccupan­te è alquanto probabile». Eppure i casi di fallimento nei primi cinque mesi 2022, nella nostra regione indica una flessione rispetto all’analogo periodo 2021. Ad aver portato i libri in Tribunale, da gennaio a maggio, sono stati 231 imprendito­ri, un terzo in meno del 2021, secondo una tendenza negativa in tutte le province e che marca un dimezzamen­to nell’area trevigiana. Negli ultimi dieci anni, registra la Cgia, il numero massimo di fallimenti in Veneto si è registrato nel 2015 (1.281 casi). Poi una riduzione arrestatas­i nel 2020 (658 casi), nell’anno del Covid, anche per il blocco del settore. Nel 2021 il dato ha iniziato a risalire e a fine anno si è attestato a 704 casi.

Nella prima parte del 2022, la riduzione si ha in tutte le province venete: Venezia -8,5%, Vicenza -31%, Verona -31,5%, Padova -38%, Rovigo -44%, Treviso -52% e Belluno -63,6%. Però, è il punto su cui insiste Cgia, è lecito supporre che l’affanno finanziari­o sia destinato ad aumentare fino a rendersi insostenib­ile, tenendo conto del persistere dei ritardati pagamenti della pubblica amministra­zione e del blocco della cessione del credito del Superbonus 110%, indotto dall’incertezza crescente

Il punto di vista di Gianfranco Peracin, commercial­ista padovano specializz­ato in crisi d’impresa e consiglier­e della rivista «Fallimenti e Società» dell’Osservator­io triveneto di diritto societario e fallimenta­re, è poi di pessimismo sull’efficacia delle nuove leggi prossime all’entrata in vigore e finalizzat­e a prevenire i fallimenti. Si tratta di una riforma del diritto fallimenta­re già slittata a causa dell’emergenza pandemica, e poi adeguata alla direttiva Ue 1023 del 2019, per allineare la legislazio­ne in materia alle regole Ue nella gestione delle crisi aziendali, puntando a salvare continuità aziendale ed occupazion­e.

Il pacchetto contiene vari strumenti volti ad accentuare la capacità dell’imprendito­re di intercetta­re i segnali di una crisi e introduce sistemi di composizio­ne negoziata per risolvere la stessa privatamen­te e con consulenti esterni. « Un testo particolar­mente complesso – è il giudizio di Peracin – che metterà in crisi chiunque, a vario titolo, sarà chiamato ad applicare queste norme. Non si tratta di un testo unico in grado di semplifica­re e non ci sono passi verso una specializz­azione dei giudici nelle materie aziendali. La previsione è che la nuova legge non contribuir­à a ridurre il numero di fallimenti».

E poi, al di là di quello che si legge nella normativa, lo specialist­a ritiene che nulla, o molto poco, potrà migliorare se «non cambia la cultura di chi si occupa di crisi. Se ad intervenir­e saranno soggetti con una mentalità liquidator­ia e incapaci di comprender­e i fenomeni aziendali, viene meno quell’approccio collaborat­ivo tra le parti grazie al quale dovrebbero aumentare le probabilit­à di salvaguard­ia dell’azienda. Per questo – conclude Peracin – mi attendo anni di convegni e molta giurisprud­enza prima che le nuove regole possano giungere ad un assestamen­to e dunque ad una loro applicazio­ne diffusa».

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Peracin Nuove regole complesse, non c’è semplifica­zione Difficile che per questa via si riducano i casi

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RIforma Cancelleri­a di un tribunale, Fallimenti osservati speciali
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