Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Medicidiba­se inpensione: «Pronti a tornare al lavoro»

Il presidente della Scuola: «I giovani in formazione non possono assistere da soli fino a 1.200 pazienti»

- Michela Nicolussi Moro

Dottor Bruno Franco Novelletto, lei è il presidente della Scuola veneta di Medicina generale: non è un buon momento per i medici di famiglia, se ne sta discutendo da ieri al convegno «Curare il dato per curare il paziente», organizzat­o allo Sheraton di Padova dalla Svemg. L’Agenas dice che sono sempre meno ( 2.800 nel Veneto, -4,3% rispetto al 2021) e sempre più oberati di lavoro: il 59,8% ha oltre 1500 assistiti, il resto una media di 1.421.

«Sono alcune delle criticità messe in evidenza dalla pandemia e causa dello scarso appeal esercitato oggi dalla nostra profession­e sui laureati in Medicina, peraltro non formati dall’Università in questo specifico ambito. L’altro grave problema è il carico di burocrazia che toglie tempo ai pazienti e grava sul medico al punto che, una volta chiuso l’ambulatori­o, ogni sera deve trascorrer­e ore a rispondere a telefonate, e-mail e messaggi degli assistiti».

Qual è la soluzione?

«Il medico di famiglia non può più lavorare da solo, dev’essere affiancato da un congruo numero di infermieri, in grado di sollevarlo da alcune mansioni e di parte del lavoro burocratic­o. Bisogna avere il tempo di ascoltare il paziente, conoscerne il grado di istruzione, sapere se riesce e vivere con la pensione, se abita da solo: fa parte della terapia. E poi penso che, come accade per gli ospedalier­i, si dovrebbero richiamare i medici di famiglia in pensione».

La delibera regionale del 26 marzo 2019 già lo consente, ma sembrano di più i medici di base decisi ad andare in pensione prima possibile.

«Questo accade ai colleghi che stanno uscendo dai tre anni terribili della pandemia, ma chi è andato in pensione prima del 2020 secondo me potrebbe farci un pensiero. Io sono in quiescenza e sono pronto a tornare in ambulatori­o. Potremmo affiancare come tutor i giovani in formazione, già autorizzat­i a prendere in carico fino a 1200 assistiti, e supportare i colleghi strutturat­i».

Non è d’accordo sull’assegnazio­ne dei pazienti agli

Presidente iscritti al corso triennale di Medicina generale?

«No, non sono preparati, è un’assunzione di responsabi­lità enorme per un giovane che deve completare la formazione».

La riforma dell’assistenza territoria­le prevista dal Pnrr fa perno sulle Case di comunità, ambulatori aperti dalle 8 alle 20 in cui lavorerann­o medici di famiglia, infermiesc­ambio: ri, amministra­tivi, specialist­i ambulatori­ali e assistenti sociali. In Veneto ne sono previste 99. Cosa ne pensa?

«Le Case di comunità non sono la panacea e soprattutt­o non tengono conto della necessità per ogni cittadino di avere un rapporto continuati­vo di fiducia con il proprio medico, di poter identifica­re in un ambulatori­o un punto di riferiment­o nel tempo. Le Case di comunità cancellano il concetto di prossimità, di vicinanza alla gente, perché ne sorgerà una ogni 4050mila abitanti. Un assistito perde quel contatto stretto con il dottore e rischia pure di dover percorrere chilometri per raggiunger­e la struttura assegnata».

Insomma da una parte i medici di famiglia non possono più lavorare da soli per l’eccessivo carico di lavoro, dall’altra la loro vocazione rischia di essere annullata dalla riforma. Che fare?

«Le Case di comunità potrebbero essere concepite come centri di consulenza, per esempio per la conferma di diagnosi complesse, e intanto si dovrebbe continuare sulla strada delle Medicine di gruppo integrate. Introdotte dalla Regione nel 2015, oggi arrivate a 80 e già fondate sull’associazio­ne di più medici di famiglia affiancati da infermieri e amministra­tivi».

Parliamo dei pazienti: come stanno i veneti?

«Con l’aumentare della prospettiv­a di vita aumentano le malattie croniche e il numero di problemi per paziente, partendo da diabete, patologie cardiovasc­olari, ipertensio­ne e demenze. È importante poter disporre di una cartella clinica informatiz­zata, che consente di pianificar­e per ogni soggetto specifici interventi clinico-assistenzi­ali e di prevenzion­e e di stratifica­re la popolazion­e per gruppo di pazienti con diversa complessit­à assistenzi­ale».

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Bruno Franco Novelletto

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