Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Giulia uccisa nella nostra “settimana perfetta” Vorrei ricordare tutto dell’ultimo giorno con lei»
Gino Cecchettin: «Lotterò nel suo nome con una fondazione»
«Quella doveva essere la settimana perfetta». Comincia così il libro di Gino Cecchettin « Cara Giulia, quello che ho imparato da mia figlia», edito da Rizzoli, da oggi nelle librerie e che sempre oggi pomeriggio alle 18.30 verrà presentato al teatro Verdi di Padova. Il libro sul femminicidio che ha sconvolto l’Italia parte da prima che tutto abbia inizio. Dalla ricerca di quelle sensazioni nitide della calma prima della tempesta. E così incontriamo Gino felice, pronto per partire per un viaggio di lavoro a Norimberga per partecipare a una fiera dove avrebbe dovuto chiudere un affare importante. Tutto era pronto per la laurea di Giulia per la quale era stata organizzata una festa a sorpresa. Davide, l’ultimogenito, era contento perché quel giorno avrebbe festeggiato con loro, saltando la scuola. E infine Elena che sarebbe rientrata dall’estero per stare con la sua famiglia. Gino mette insieme i pezzi, frammenti di normalità e attimi di gioia, i
La famiglia patriarcale Era quella da cui provenivo. Giulia ed Elenami hanno aperto gli occhi sui temi del possesso e della libertà, spesso «concessa» dal capofamiglia
Le polemiche sui soldi Provo un dolore così profondo che non devo spiegare nulla. Tutte le iniziative servono per finanziare la Fondazione Giulia
Filippo Turetta Sono stato travolto dalla rabbia e dal dolore, poi ho capito che l’odio non mi avrebbe portato da nessuna partementre l’amore perGiuliami avrebbe salvato
primi dopo la morte della moglie Monica, avvenuta un anno prima. «Vorrei ricordare ogni singola cosa dell’ultimo giorno insieme», spiega il padre della ragazza. E così parla di quel sabato 11 novembre, prima che Giulia venisse uccisa.
Della pasta col tonno mangiata insieme a Davide appena rientrato da scuola, di Giulia che dopo pranzo mette i piatti in lavastoviglie, di quell’ultimo messaggio vocale che la ragazza manda al padre per organizzare la cena di sabato sera di Gino con i nonni, dove lei non avrebbe partecipato, ma ci teneva che fosse ben organizzata. Poi il flash di Gino che guarda un film la sera e si addormenta davanti alla tv, la sveglia alle 23.30 per andare a prendere Davide ad una festa tra amici. L’ultimo messaggio alla figlia è lo screenshot di un piccolo errore nella tesi, mancava un apostrofo. Il giorno dopo Giulia non è ancora tornata a casa. Inizia una lenta discesa nell’abisso.
Gino, in questo libro lei affronta molti temi legati a sua figlia, l’hanno aiutata i suoi figli?
«Non nella stesura, quella è stata un’idea mia, ma i contenuti sono frutto di temi che ho affrontato con Elena e con Davide, che su molte cose, ho scoperto, sono più ferrati di me».
Lei ha detto di essere nato in una famiglia patriarcale, con Elena e con Giulia avete affrontato questi temi quando eravate tutti insieme?
«Sì, i miei figli masticavano questi termini molto più di quanto non lo facessi io, anche se quando ero con loro li affrontavo nel rapporto genitore-figlia, raramente come maschio-femmina, le ragazze invece mi avevano aperto gli occhi sul tema del possesso e della libertà, che spesso viene «concessa» dal capofamiglia agli altri componenti del nucleo, con le ragazze avevamo parlato del cat-calling, ovvero dell’apprezzamento che spesso gli uomini fanno ad alta voce sulle donne che gli passano davanti, le mie figlie odiavano questi comportamenti che oggettivizzano le donne».
Dopo quello che è successo come è cambiato il modo di educare il suo ultimogenito, unico figlio maschio?
«Davide è giovane e proprio per questo ha una marcia in più, devo dire che in certi temi ho molto da imparare dai miei ragazzi, Davide
e i suoi amici, i suoi compagni di classe e i suoi professori, hanno creato un gruppo consapevole dove certi temi sono all’ordine del giorno, per cui sicuramente cambierà qualcosa, ma perché sarò io a imparare».
Lei ha deciso di non parlare mai di Filippo Turetta, l’uomo che ha ucciso sua figlia, ci spiega il motivo?
«Quando Giulia è morta sono stato travolto dal dolore e dalla rabbia, come è normale che sia, ma più andavo avanti e più mi rendevo conto che se volevo uscire dal baratro dovevo far spazio al bene, e il bene è mia figlia, dovevo proiettarmi a costruire qualcosa di positivo perché lei avrebbe voluto così. L’odio non mi avrebbe portadi to da nessuna parte, l’amore per lei invece mi avrebbe salvato. Detto questo anche io voglio giustizia: ci sarà un processo, la nostra famiglia sarà presente tramite gli avvocati, ma io non ho intenzione di alimentare l’odio».
Ha sentito i genitori di Filippo?
«Qualche messaggio a Natale e poi basta, masono cose che tengo per me».
Purtroppo le donne continuano a morire. Dopo Giulia sono morte Vanessa Ballan e Sara Buratin, solo per citare i due casi veneti. Sono sempre uomini che uccidono donne che decidono di allontanarsi da loro. Cosa vorrebbe dire ai parenti delle vittime?
«Vorrei dire loro che capisco molto bene quello che stanno passando, gli direi di sforzarsi di pensare ai momenti belli che hanno passato con chi non c’è più, perché saranno quei momenti a indicare la strada per uscire dal dolore, ci vorrà tempo, ce ne vorrà anche per me».
Dopo l’omicidio di Giulia c’è stata una grande ondata di solidarietà e amicizia nei suoi confronti, ma adesso c’è chi non apprezza le sue ospitate in tv, e che dice che lei intende monetizzare la perdita di sua figlia, cosa vuole dire a queste persone?
«Citerei Dante: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”... Il dolore che ho provato e che provo è così profondo che non ho bisogno di dover spiegare nulla, il libro andrà a finanziare un progetto importante che mi sta molto a cuore, Fondazione Giulia, che si occuperà sostenere associazioni già attive nel contrasto alla violenza di genere. Dopo quello che è successo a Giulia ho girato molti di questi centri e ho incontrato le volontarie e i volontari che ci lavorano, bisogna supportarli con più forza possibile, e servono tanti soldi, approfitto anche di questa intervista per fare un appello alle istituzioni: se qualcuno vuole aiutarmi io sono qui, mi contatti, c’è molto lavoro da fare».