Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Da AutonomiaO­peraia al Nobel per laMedicina Le tre vite di Pancino

Padovano, capo delle contestazi­oni imputato nel Processo 7 aprile, latitante a Parigi con ToniNegri In un libro la sua esistenza da film

-

Gianfranco Pancino, laureato in medicina a Padova nel 1971, ha fatto parte di Potere Operaio, poi è stato tra i fondatori di Autonomia operaia, imputato nel processo 7 aprile, costretto alla latitanza, alla fuga e all’esilio, rifugiato a Parigi si è dedicato alla ricerca sul cancro e poi sull’Hiv, come direttore di ricerca dell’Istituto Pasteur libero

Pancino, quale delle «tre vite» è stata la migliore?

«Sono cambiato e continuo a cambiare grazie alle mie esperienze, alle persone che ho incontrato, all’empatia con cui ho guardato chi subisce ingiustizi­e o soffre di malattie. I movimenti di lotta e di rivolta a cui ho partecipat­o dal 1968 al 1977 hanno profondame­nte mutato la società. Nella mia vita ci sono stati periodi difficili o dolorosi, la latitanza e i primi anni d’esilio con la minaccia dell’estradizio­ne, senza documenti per 4 anni e mezzo, ho fatto qualsiasi tipo di lavoro per sopravvive­re. Era come se non esistessi. Ma ognuna delle mie vite mi ha offerto esperienze e sensazioni indimentic­abili».

Tra le manifestaz­ioni di Autonomia Operaia e la lotta per cambiare la società, scriveva poesie e leggeva letteratur­a. Ha trovato consolazio­ne o ispirazion­e?

«Ispirazion­e senza dubbio, le letture hanno sempre accompagna­to e guidato la mia vita, scrittori come Fëdor Dostoevski­j, Vassili Grossman, Michail Bulgakov o Gabriel Garcia Marquez hanno portato vere illuminazi­oni. La poesia anche, da Leopardi a Montale, da Dante a Goethe, da Eliot, Neruda, Carlo Emio Gadda. Scrivere ha accompagna­to i miei amori e le mie gioie. Mi ha anche consolato nei momenti più penosi, quando il dolore diventava troppo intenso, per la morte di mio fratello, per la prigionia dei compagni o per la fine delle nostre speranze rivoluzion­arie».

Un momento difficile del periodo della cosiddetta «strategia della tensione»?

«Le stragi cosiddette di Stato ci riempivano d’orrore e di rabbia. E hanno spinto molti militanti della sinistra extraparla­mentare a pensare che le istituzion­i italiane fossero definitiva­mente corrotte e gli spazi politici di contestazi­one si chiudesser­o, spingendo alla scelta delle armi per continuare la lotta».

In che rapporti era con Toni Negri?

«Toni Negri era un amico. L’ho incontrato nel 1969 davanti a una fabbrica di Padova dove gli operai erano in sciopero. Abbiamo poi condiviso forti esperienze politiche, la militanza in Autonomia Operaia e in Rosso a Milano e molti anni d’esilio a Parigi. Discutevam­o di tutto. Le opere teoriche di Toni costituisc­ono uno dei più importanti contributi al rinnovamen­to e allo sviluppo del marxismo tra i secoli XX e XXI. Tante le serate e le feste trascorse insieme. Negli ultimi anni della sua malattia siamo stati molti vicini, ho cercato di assisterlo anche come medico».

Come ha vissuto a Padova gli anni di piombo e la lotta armata?

«Su Wikipedia si legge che gli anni di piombo si riferiscon­o al periodo che va dal 1969 all’inizio degli anni ‘80 e che iniziano dalla strage di Piazza Fontana.

«Ho grande determinaz­ione e tenacia. Volevo fare ricerca scientific­a già nel 1969, ma avevo scelto allora l’impegno politico. Quando sono approdato in Francia ho tentato di seguire l’antica passione. Per due anni Loredana, la mia compagna, e io abbiamo lavorato per vivere e crescere nostro figlio. Mi è bastato lo spiraglio aperto da un direttore argentino di un’Unità di Ricerca nel 1984, che mi ha accolto nel suo laboratori­o, in incognito e senza salario, per gettarmi totalmente nella scienza. A forza di studio e lavoro accanito ho ottenuto un dottorato in scienze e ho vinto un concorso di direttore di ricerca. Ho poi diretto un’equipe di ricerca sull’Hiv nell’Unità di Françoise Barré-Sinoussi, scopritric­e del virus Hiv e Premio Nobel».

Rimpianti?

«Sul piano politico, avrei dovuto comprender­e i rapporti di forza disuguali tra i movimenti e le istituzion­i e oppormi decisament­e alla deriva di molti giovani verso la lotta armata. Ma dubito che una mia presa di posizione avrebbe cambiato qualcosa. Nella mia vita sono stati molto importanti i compagni con cui ho condiviso idee e emozioni, gli amici francesi che mi hanno accolto e aiutato. E le donne, in particolar­e mia madre che mi ha formato all’onestà morale e mi ha insegnato il valore dell’amicizia e mia moglie Loredana, la forza vitale che mi ha sostenuto». Oggi qual è il suo obiettivo? «Fare conoscere il mio libro. E come ho fatto all’inizio della pandemia da Covid, sono pronto a impegnarmi in campagne d’informazio­ne sulla sanità. Nel frattempo continuo a godermi la pensione con la lettura e studiando il tedesco. Oltre a curare le rose del mio giardino».

"

Lemie sfide: cambiareme stesso e la società, vivere, non accontenta­rmi di sopravvive­re Ho sofferto quandomi chiamavano terrorista

 ?? ??
 ?? ??
 ?? ?? ● Il libro «Ricordi a piede libero» (Mimesis) di Gianfranco Pancino, racconta la passione rivoluzion­aria prima e l’impegno scientific­o poi del medico padovano Gianfranco Pancino, leader di Autonomia Operaia negli anni di piombo
●
● Il libro «Ricordi a piede libero» (Mimesis) di Gianfranco Pancino, racconta la passione rivoluzion­aria prima e l’impegno scientific­o poi del medico padovano Gianfranco Pancino, leader di Autonomia Operaia negli anni di piombo ●

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy