Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Un segnale, nulla di più Abitare qui è un’impresa per salvarsi la città deve aprirsi alla modernità»
Il professorRussoproponedi sperimentare in alcuni immobili scelte edilizie che faciliterebbero la residenzialità Cosa sarà Venezia fra cinquant’anni? Il destino della città più fragile e bella del mondo va costruito adesso attraverso una visione che vada
Messaggio commerciale Il ticket ratifica Venezia come luogo da visitare. Il messaggio che passa è commerciale: si favorisce l’attraversabilità di Venezia a pagamento. Non più città ma parco urbano
Sempre meno residenti, posti letto per i turisti in costante crescita e picchi di centomila (e oltre) visitatori nei giorni da «bollino nero» per arrivi e presenze. I veneziani — i pochi rimasti — protestano per i servizi carenti, per le case con prezzi alle stelle e per il caos che rende invivibile Venezia. Ma anche l’Unesco richiama Comune e Stato a fare di più per la città più conosciuta al mondo e che tutti vogliono visitate. E dopo aver minacciato, per anni, di inserire il sito patrimonio dell’umanità nella blacklist delle realtà a rischio, all’annuncio dell’introduzione del ticket d’accesso, ha concesso una nuova moratoria. In attesa di vedere cosa succederà, se davvero il contributo migliorerà la gestione dei flussi turistici. «Ma il ticket non servirà a cambiare le cose», dice tranchant Salvatore Russo, professore di Tecnica delle costruzioni allo Iuav (di cui ha diretto la laurea magistrale di Architettura) e unico italiano del pool di esperti scelti dall’Unesco per la ricostruzione di Palmira, in Siria, distrutta dagli attacchi dell’Isis nel 2015.
Professore, anche lei nella schiera dei detrattori del contributo?
«Non ritengo che servirà ma ha un aspetto positivo, per quanto contenuto, ossia che rappresenta un segnale. Inoltre, ai fini della raccolta di dati sulle presenze turistiche sarà utile. Per il resto…».
Per il resto?
«Non serve perché non dà una prospettiva, bensì ratifica Venezia come luogo da visitare. Il messaggio che passa è di carattere commerciale: favorisce l’attraversabilità di Venezia a pagamento, definisce una città che non è più una città, ma che diventa un parco urbano architettonico. Di fatto, la si rende più attraente al visitatore».
L’obiettivo però è far desistere le persone dal visitare il centro storico in giornata.
«Ma cinque euro li abbiamo tutti…».
Lei sostiene che il ticket fa di Venezia una città che non è più una città, ma non è già così nel sentire comune? I residenti sono 48.993, stando ai dati di una settimana fa del Comune. I posti letto turistici, quelli ufficiali, sono più di 50 mila.
«Se ne stiamo ancora parlando, se c’è un dibattito sulla città e su come “salvarla” vuole dire che si è ancora in tempo per fare qualcosa. E di cose da fare ce ne sarebbero». Quali?
«Partiamo da due pensieri. Il primo è che l’unico modo di combattere una perdita di identità che rischia di essere senza ritorno è la residenza, unico antidoto contro l’uso turistico totale. Il secondo è che, purtroppo, la modernità abitativa si è fermata prima del ponte (della Libertà, ndr): arriva fino al suo imbocco poi fa una inversione a “U” e torna in terraferma».
Cosa intende per modernità abitativa?
«Intendo dire che i temi dell’accessibilità, delle fonti rinnovabili, della sostenibilità dell’housing non sono mai entrati a Venezia. E sono dirimenti. Bisognerebbe intervenire e con urgenza».
Più facile a dirsi che a farsi, con tutti i vincoli cui la città d’acqua è sottoposta.
«Ma infatti. Non sto parlando genericamente di introdurre pannelli solari, ascensori, o altro. Propongo di destinare un paio di edifici di edilizia minore e di verificare la applicabilità di alcune scelte edilizie che potrebbero rendere più appetibile e più facile la vita a Venezia. Quest’idea passa da una precisa scelta politica: si prendano uno, due, tre lotti su cui sperimentare gli accessi ai piani terra e agli ultimi piani attraverso ascensori. Creando un tavolo di studio permanente con Comune, Soprintendenza, università, istituzioni che hanno immobili. E si crei un case study con appunto 2 o 3 edifici. Perché a Venezia c’è chi ci tiene ancora. Ho letto sul Corriere le interviste a Arrigo Cipriani (il patron dell’Harry’s bar, ndr) e a Andrea Rinaldo (professore di Idrologia all’università di Padova, insignito del Nobel dell’acqua, ndr). Cipriani da un lato dice che Venezia è sempre stata così, che con l’acqua alta ci si convive. Rinaldo, dall’altro, sostiene che bisogna agire per la sua salvaguarda. Magari non ne condivido le posizioni ma entrambi esprimono un pensiero organizzato, il contributo d’accesso invece non lo è».
Il Comune dice che è una
sperimentazione, il primo test al mondo sulla gestione dei flussi a beneficio di residenti e visitatori.
«Il nodo da sciogliere è un altro. Finché noi parliamo di ticket, a Venezia si è perso ogni rapporto di vicinato. In tutto il Comune risiedono circa 260 mila persone, meno di 49 mila in centro storico. E ogni anno, stando ai dati ufficiali, ci sono 15 milioni di turisti, vuole dire una media di 40 mila ogni giorno. Che si traduce in 5 mila visitatori per ogni chilometro quadrato di Venezia. E quindi non c’è rapporto paritario, è tutto a favore del turismo».
Che fare, allora?
«Recuperare residenza e limitare le affittanze turistiche. Non dico di fare come Barcellona (forti limitazioni a Airbnb, acquisizione di edifici per la residenza pubblica, multe a chi non mette sul mercato gli alloggi vuoti, ndr) ma c’è l’esempio di New York. E quindi in alcuni sestieri mettere un freno all’extralberghiero a sostegno del ritorno di residenti. C’è da dire che non è che le amministrazioni precedenti abbiano fatto chissà che… Le ultime cinque o sei si sono voltate dall’altra parte. Il contributo, per quanto non sia la strada giusta, in tal senso è qualcosa».
Residenza, quindi, e sperimentazione nell’ammodernare l’edilizia. Idee che si scontrano con un altro problema, i costi.
«Che sono fuori scala proprio perché si è persa residenza. La sperimentazione è un processo lento ma anche il depauperamento di Venezia lo è stato».
Lei parla dei costi di manutenzione fuori scala, ma anche per case e affitti sono esosi.
«La ragione è la stessa. Si consideri che circa il 30-40% di case in città non sono abitate (sono circa 36 mila, ndr). Un valore da morte civile, in cui si è inserita la ricettività turistica».
L’amministrazione con le università puntano a «Venezia città campus».
«Un progetto che va nella direzione giusta. Ma non basta ad implementare la vera residenza, gli studenti per lo più poi vanno via».
Comitati e opposizione chiedono che si identifichi la soglia limite di tolleranza di visitatori e non si vada oltre.
«Certo, trovare la soglia oltre la quale non è tollerabile l’arrivo di turisti ma solo finché i residenti resteranno “fauna rara”. Nel momento in cui torna la residenza, il limite non serve più».