Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
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Laura Efrikian: noi, famosi, in campo nel ‘74 per un diritto
Sono trascorsi cinquant’anni esatti dal referendum popolare in cui gli italiani difesero il diritto al divorzio nel primo referendum abrogativo della storia repubblicana. Era il 12 e 13 maggio 1974 e come testimonial dell’invito alle urne, c’erano Laura Efrikian e Gianni Morandi: attrice trevigiana lei, cantante (star assoluta) lui, insieme formavano la coppia più amata dello spettacolo.
Signora Efrikian, su YouTube si può vedere lo spot televisivo in cui appare lei con Morandi e i vostri figli: Marianna, che all’epoca aveva 5 anni, e Marco di appena 3 mesi. Una famiglia felice. Perché esporvi sul divorzio?
«Ne eravamo fortemente convinti, anche se non ci riguardava. Abbiamo sempre pensato che ogni uomo e ogni donna, in caso di problemi coniugali, dovesse avere il diritto di sciogliere il proprio matrimonio. Non per capriccio, certo, ma come passo importante da cui non si torna più indietro. Lo abbiamo voluto con determinazione, lo abbiamo promosso e dopo cinque anni ne abbiamo anche usufruito (ride, ndr) ».
Chi era il più convinto tra i due?
«Essendo una donna e anche più grande di quattro anni, direi io, ma ne parlammo giusto un attimo perché lui fu subito d’accordo. In genere sono le donne a prendere le decisioni importanti. All’epoca avevo 34 anni, avevo studiato recitazione al Piccolo Teatro di Milano, apparivo come una persona seria, forte, a cui si potevano chiedere consigli. Forse è proprio per questo che pensarono di chiedere a noi d’invitare gli italiani a votare “no” al referendum abrogativo. La percentuale di votanti fu altissima, intorno all’88% e vinse il “no”».
Nel video del 1974 viene ripetuta più volte la parola «rispetto», tema di grande attualità...
«Attualissimo. Adesso il diritto al divorzio è dato per assodato, ma sul rispetto c’è ancora da fare. Il rispetto per la persona deve esserci quando tutto fila liscio e quando i rapporti finiscono. L’urgenza su cui lavorare, oggi, è la violenza sulle donne, che si scatena quando manca il rispetto».
Torniamo agli Anni Settanta: che famiglia eravate?
«Una famiglia normale nella nostra “anormalità”. Gianni era già un grande cantante, mentre io avevo lasciato la carriera dopo la morte della nostra primogenita Serena, nel 1967. Nello stesso anno Gianni partì per il servizio militare. Di lì in avanti rifiutai tutte le proposte lavorative e nel 1969 nacque Marianna: scelsi di essere solo moglie e madre».
Nel 1979 il divorzio. Voluto da chi?
«Ero vicina ai 40 anni e dopo 15 anni di matrimonio, sentivo che l’amicizia stava diventando più forte dell’amore. In più mi sentivo prigioniera di una vita che ormai mi stava stretta, così Gianni e io ci lasciammo, molto serenamente, con affidamento congiunto dei figli. Non c’è mai stata rabbia né alcuna lite».
I suoi genitori come reagirono?
«All’inizio erano dispiaciuti, perché appartenevano un’altra generazione, ma erano anche molto moderni e riuscirono a capirmi. Abitavano a
Treviso e quando venivano a trovarmi a Roma, non mi riconoscevano più perché stavo sul divano o in giardino a curare i fiori, proprio io che ero andata via da casa a 17 anni per studiare, avevo iniziato una carriera d’annunciatrice in Rai e dopo una settimana dal diploma in recitazione ero già in tournée, senza contare i mille altri impegni che avevo».
E i figli?
Quel “no” alla abrogazione della legge l’abbiamo voluto con decisione, lo abbiamo promosso E dopo cinque anni ne abbiamo anche usufruito
«Non ne hanno mai sofferto. Marianna aveva 10 anni e le spiegammo subito tutto: accettò senza fare domande. Marco era più piccolo, più naif, e per i due anni successivi continuò a pensare che io volessi abitare in città, perché avevo preso casa a Trastevere, e che papà volesse stare in campagna. Stavano un po’ con me, un po’ con Gianni. Crescendo, si sono sposati (Marianna con Biagio Antonacci e Marco con Sabrina Laganà, ndr) e hanno usufruito anche loro del diritto al divorzio».
Oggi diventerebbe testimonial di altre battaglie sociali?
«Ho 84 anni e mi do da fare per l’Africa. Il ricavato della vendita del mio ultimo libro “Ephrikian. Una famiglia armena” e dei piatti che dipingo a mano andrà a finanziare la costruzione di due pozzi in Kenya. Se ci sarà bisogno di fare qualcosa in Italia, scenderò in piazza».