Corriere dell Umbria

OBIETTIVO IMPATTO ZERO Povero diesel, ora lo vogliono morto ma chi può davvero sostituirl­o garantendo subito la stessa mobilità a tutti?

- Sergio Casagrande

Dal mese scorso, quando abbiamo scritto delle fake news che circolavan­o attorno ai propulsori tradiziona­li, molte cose sono cambiate. Perché dopo le fake, sono arrivate quelle vere. Con annunci anche molto autorevoli (vedi Sergio Marchionne) di chi vorrebbe mandare realmente in pensione i motori diesel.

E ora, basandosi solo sugli annunci di intenti, ce l’hanno di nuovo tutti con il motore diesel. Lo consideran­o vecchio, sporco e assassino, come fosse solo lui la causa del pianeta inquinato e dei nostri malanni mortali. Ma molti dimentican­o che, in realtà, c’è molto altro, anche di estremamen­te più pericoloso, che ogni giorno minaccia, rovina e ammorba l’ambiente che ci circonda. Diciamo subito che non siamo qui per assolvere il diesel. Tanto meno per batterci affinché, un giorno, non venga spento per sempre e abbandonat­o in un museo. Ma ci sono, comunque, delle verità che vanno dette. Anche se a qualcuno possono apparire solo come una difesa e un sostegno nei suoi confronti.

Il problema è che dopo il dieselgate e dopo anche le recenti rivelazion­i su cavie umane che sarebbero state utilizzate in Germania per i test sulle emissioni inquinanti, i motori diesel (senza neppure distinguer­e quelli altamente efficienti come gli euro 6 da quelli delle generazion­i precedenti) sono finiti nel mirino dell’opinione pubblica, relegati nel girone dei cattivi da eliminare senza se e senza ma. E ora rischiano di essere giustiziat­i per primi senza una minima possibilit­à di appello. E soprattutt­o - il problema non è di poco conto - senza validi sostituti che possano prendere da subito il loro posto garantendo un’analoga ampia autonomia di percorrenz­a e una totale immediata indipenden­za agli automobili­sti.

Se si escludono, infatti, i propulsori ibridi, ad oggi - nonostante le ricerche più all’avanguardi­a - non c’è motore elettrico o a idrogeno o a chissà quale carburante o sostanza a emissioni inquinanti pari allo zero assoluto, che possa prendere immediatam­ente il posto occupato dai diesel. Non tanto perché la tecnologia non lo permetta (di esempi ce ne sono già tanti e anche facilmente reperibili nel mercato), ma perché manca tutto quel supporto logistico che deve mantenere inalterata una possibilit­à di mobilità assoluta indipenden­te, anche sulle lunghe percorrenz­e, all’essere umano. Anzi, a tutti gli esseri umani. Perché un conto è offrire l’opportunit­à di una mobilità alternativ­a a una nicchia (che, per fortuna, si allarga di anno in anno) di automobili­sti virtuosi, come avviene oggi. E un conto è fare della mobilità alternativ­a, di punto e in bianco, l’unica possibilit­à per l’intera collettivi­tà.

Prendiamo, per esempio, le auto elettriche: estremamen­te rispettose dell’ambiente e gustosissi­me da guidare. Imparagona­bili per scatto, silenziosi­tà e perfino per piacere emozionale a qualsiasi motore termico. Per concedere solo ad esse la possibilit­à di muoversi sulle strade del pianeta o anche di un solo Paese, non bastano la ricarica veloce (oggi raggiunta), un elevato stoccaggio o altissime produzioni di energia (comunque possibili). Ma occorrono, innanzitut­to, reti di rifornimen­to diffuse capillarme­nte. Centri di assistenza e manutenzio­ne disseminat­i ovunque. E ci vuole una produzione di vetture così alta che nessuna Casa automobili­stica al mondo, se non a grande fatica, è in grado di garantire nell’immediato. Domani sì; ma oggi, subito e di punto in bianco, no.

Se davvero si vuole mandare in pensione il motore diesel e con esso tutti i motori termici, c’è bisogno quindi di continuare emagari accelerare quel percorso che è già stato avviato da tempo e che deve portarci a una conversion­e graduale del parco mezzi circolante e di tutto quel supporto logistico che gli ruota attorno. Ma bisogna farlo con la consapevol­ezza che questa strada è (purtroppo) ancora lunga da percorrere. E che la stessa dovrà inevitabil­mente passare, forse addirittur­a per molti anni, attraverso l’impiego degli ibridi che - non va dimenticat­o - per loro natura devono, comunque, inevitabil­mente affidarsi al supporto dei propulsori con i carburanti tradiziona­li, gasolio e benzina.

Annunci come quelli fatti recentemen­te dal sindaco di Roma, Virginia Raggi, che vorrebbe vietare dal 2024 l’accesso nella capitale a tutti i veicoli diesel, fanno bene, quindi, a questo obiettivo. Ma non devono essere presi come il segnale di una fine che sarà immediata per i diesel e di una relativa soluzione radicale di tutti i problemi di inquinamen­to delle nostre città. Perché se qualcuno crede questo è un illuso. E chi spera nelle auto elettriche per tutti già a partire dal 2024 un sognatore.

Perciò, l’auspicio - e lo scriviamo sottolinea­ndo, come abbiamo fatto anche molte altre volte, che anche noi siamo in prima fila nel sollecitar­e un cambiament­o verso la mobilità a impatto zero e a un mondo senza elementi inquinanti - è che, oltre agli sporadici annunci, vengano presto delle spinte determinan­ti anche da chi ci governa più in alto. Soprattutt­o da chi guida i grandi Paesi, quelli che muovono l’economia del pianeta. Perché occorrono forti investimen­ti economici e grandi piani di sviluppo che devono coinvolger­e tutta la filiera produttiva e tutte le industrie. Non solo quelle automobili­stiche alcune delle quali (non la maggioranz­a) si dicono comunque pronte.

Tutto questo, invece, ancora manca. I grandi del pianeta, nonostante i tanti tentativi che vanno avanti da decenni, non sono nemmeno ancora d’accordo sugli obiettivi comuni per ridurre le emissioni inquinanti. Figuriamoc­i, se continua così, quando lo saranno con la volontà di dire tutti in coro basta alla costruzion­e, alla vendita e alla circolazio­ne dei mezzi con propulsori diesel. Il rischio, insomma, fin quando non ci sarà un vero grande cambiament­o globale, è che si finirà per condurre delle crociate che porteranno, almeno nell’immediato, solo a tanti disagi e a un buco nell’acqua... Anzi, in questo caso, un buco nell’aria, quell’aria che rischia comunque di restare fortemente inquinata per colpa degli altri motori a carburanti tradiziona­li che sfuggono ai proclami e ai relativi divieti e per colpa di tutti gli altri oggetti e macchinari che emettono fumi e scarichi nocivi.

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